Domenica 27 ottobre – XXX del Tempo Ordinario

Marco 10,46-52: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”
Mendicanti della luce

La guarigione del cieco di Gerico rappresenta l’ultimo miracolo narrato nel Vangelo di Marco. Questo racconto segue i tre annunci di Gesù riguardo alla sua passione, morte e risurrezione, accompagnati dalle relative catechesi impartite ai discepoli.
La parte centrale del Vangelo di Marco (capitoli 8-10), chiamata “la sezione del cammino”, è inquadrata da due guarigioni di ciechi. All’inizio troviamo la guarigione progressiva del cieco di Betsaida (8,22-26), che precede la professione di fede di Pietro a Cesarea di Filippo. Alla fine della sezione, incontriamo la guarigione del cieco di Gerico, Bartimeo.

1. Bartimeo, figura del discepolo: valenza simbolica del miracolo
Il racconto ha un grande valore simbolico: Bartimeo è lo specchio del discepolo. Nelle ultime domeniche, Marco ci ha condotti attraverso l’itinerario degli apostoli. In quel cammino di consapevolezza delle esigenze della sequela, il discepolo si rende conto di essere cieco. Bartimeo rappresenta ciascuno di noi. Tutti noi prendiamo coscienza della nostra cecità spirituale quando siamo chiamati a seguire Gesù sulla via della croce.

2. Bartimeo, nostro fratello: “maestro” di preghiera
Bartimeo sa esattamente cosa chiedere, a differenza di Giacomo e Giovanni, che “non sapevano cosa domandavano”. Egli chiede l’essenziale attraverso una breve preghiera: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!”. Bartimeo esprime la sua fede in Gesù come Messia, chiamandolo “Figlio di Davide” — è l’unica persona nel vangelo di Marco a conferirgli questo titolo. Allo stesso tempo, manifesta un rapporto di fiducia, intimità e tenerezza, chiamando Gesù per nome e invocandolo come “Rabbunì”, “mio maestro”. Questo titolo appare solo due volte nei vangeli: qui e nel racconto di Maria Maddalena, nel mattino di Pasqua (Gv 20,16).
La vita nasce e si sviluppa grazie alla luce. Lo stesso avviene nella vita spirituale: senza la luce interiore, la nostra esistenza viene inghiottita dall’oscurità. A volte sperimentiamo la gioia della luce, mentre altre volte le tenebre sembrano invadere il nostro cuore. Problemi, sofferenze, difficoltà e debolezze offuscano la nostra visione della vita, rendendoci incapaci di seguire il Signore. In questi momenti, ci viene in aiuto la preghiera di Bartimeo: “Rabbunì, che io veda di nuovo!” Bartimeo è un maestro di preghiera: semplice, essenziale e fiduciosa.

3. Compagni di Bartimeo: mendicanti della Luce
Nella Chiesa antica, il battesimo era chiamato “illuminazione”. Questa illuminazione ci strappa dalle tenebre della morte, ma è sempre minacciata. Come il girasole, ogni giorno il cristiano si volge verso il Sole di Cristo. Ogni mattina, mentre ci laviamo gli occhi, l’anima nostra corra a lavarsi nella piscina di Sìloe, come il cieco nato di cui parla Giovanni nel capitolo 9 del suo vangelo. E quando ci ritroviamo ciechi, ricordiamoci che l’Eucaristia è il collirio dello Spirito. Con le mani che hanno accolto il Corpo di Cristo, tocchiamo i nostri occhi e il nostro volto, memori dell’esperienza dei discepoli di Emmaus: “Si aprirono loro gli occhi” allo spezzare del Pane. Non solo gli occhi, ma anche il nostro volto è destinato a risplendere, come quello di Mosè (Es 34,29). Il viso del cristiano è lo specchio della gloria del Signore (2Cor 3,18), testimonianza della Luce, posta sul candelabro del mondo.