La giustizia non può non essere invasa e pervasa dalla misericordia. Dio giudica giustificando, gli uomini giudicano giustiziando. Il Signore ci esorta e ci incoraggia ad aprirci alla forza del perdono, perché nella vita non tutto si risolve con la giustizia. C’è bisogno dell’amore viscerale e materno di Dio che è insieme giustizia e misericordia.
È interessante chiederci, alla luce dell’invito di Gesù a non quantificare la misura del perdono, su quale versante giocare la connessione tra giustizia e misericordia: su quello dell’intelligenza che spesso risulta essere aridità di sentimenti, difficoltà di rapporti, astrattezza di vissuto, opinabilità di giudizio, o su quello dell’amore che è grande nel perdono, sensibile nei rapporti, delicato nei giudizi, profondo nei sentimenti, duraturo nell’espressione?
Non creiamoci, dunque, un tribunale nel cuore in cui gli altri sono gli accusati ed i colpevoli e noi gli innocenti perseguitati: non condanniamo, non giudichiamo, scopriamo la via della misericordia e del perdono, non pretendiamo che valga soltanto il nostro giudizio, facciamo luce sulle situazioni, pronti a cambiare e a fare strada alla verità che non possediamo ma ci possiede.
Il Vangelo di questa domenica è un’esortazione forte e chiara a spezzare la spirale della vendetta e la catena dell’odio, disarmando la prigione del rancore e dell’ira, un invito accorato a pronunciare con prudenza, accortezza e cautela la quinta delle sette domande sulle quali è costruita la preghiera del “Padre Nostro”, di cui questa parabola sembra quasi una parafrasi: “Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.
La parola centrale è il “come” (kàtos), non solamente nel suo significato di complemento di paragone, ma soprattutto nella sua accezione “causale”: perdonarci vicendevolmente “siccome” lui ci ha perdonati e continua a perdonarci mediante il suo Spirito, appunto, per il fatto, che anche noi siamo messi in grado, siamo messi nelle condizioni di perdonarci gli uni gli altri come il Signore ha fatto e continua a fare con noi, facendoci incamminare verso quella felicità che prova il “Dio in ginocchio” nel servire le sue amate creature.
Noi non siamo in grado di cambiare gli altri, possiamo solo, e con fatica, cambiare noi stessi. È attraverso questo cambiamento-trasformazione che possiamo avvicinarci a qualsiasi “altro”, che saprà, forse, cogliere l’amore ri-conquistato nella libertà. È l’arte di ricominciare che richiede coraggio, resilienza e adattabilità. Il coraggio che ci spinge a intraprendere nuove strade, a metterci in gioco e a superare le resistenze interiori che possono ostacolarci; la resilienza come capacità di affrontare le avversità, le sfide e le delusioni senza soccombere; l’adattabilità come spinta a modificare i nostri comportamenti, le nostre abitudini e le nostre aspettative in risposta alle nuove circostanze.
Insomma, un viaggio che richiede impegno, pazienza e un profondo lavoro interiore, un’opportunità straordinaria per la crescita personale, un cambiamento positivo e il raggiungimento di nuovi obiettivi e realizzazioni. Chi blocca questo circolo virtuoso della misericordia condanna se stesso al fallimento. Il risentimento ci fa coniare la moneta falsa del giudizio e della calunnia. Il perdono, invece, ci aiuta a far splendere sul nostro volto il sole della giustizia e lo splendore della bontà.