Essere discepoli di Cristo comporta due movimenti esistenziali essenziali. Il primo è “rinnegare se stessi”, che non vuol dire mortificarsi, annichilarsi o non riconoscere i propri talenti, ma porre Dio come proprio riferimento totale, al di sopra di ogni prospettiva e sicurezza, come unica salvezza. Significa essere liberi da se stessi per debordare verso l’altro facendo della propria vita un dono.
Si tratta, in sostanza, di un’operazione di de-centramento, dimenticando se stessi e la propria voglia di protagonismo, il proprio egocentrismo e narcisismo. Questo “accesso all’alterità” implica il superamento della tendenza a fare di sé il centro e il riferimento di tutto per essere “dimora” dell’altro in un atto di accettazione e in uno sforzo di fusione, per essere tutto per l’altro, senza cessare di essere se stessi.
Il secondo movimento del discepolato consiste nel “prendere la propria croce e seguire Gesù”. Il verbo “prendere” implica la scelta di assumersi la responsabilità di ciò che avviene nella vita, smettendo di subire le cose e affrontando, senza più vittimismi, specialmente quelle che accadono e che non scegliamo. La Croce, nel Vangelo, è la sintesi della vita e della vicenda di Gesù, indica la follia di un Dio appassionato, la sua lucida follia di amore, amore fino a morirne. È come se il Signore ci dicesse: “Se qualcuno vuole venire dietro di me, prenda su di sé il giogo dell’amore, tutto l’amore di cui è capace, e mi segua!”.
La croce come vanto, come segno di speranza, come massima rivelazione della potenza di Dio, se da una parte rappresenta il punto più basso in cui può cadere l’uomo, dall’altro è il punto più alto a cui giunge Dio con il suo amore e la sua misericordia. Su quel legno s’incrociano la piccolezza dell’uomo e la grandezza di Dio, che non consiste nel dimostrare una forza tale da costringere il cuore dell’amato a corrispondere, togliendogli ogni libertà, ma semplicemente nel dimostrarsi: nulla è più forte dell’amore nella sua debolezza, nulla è più debole nella sua forza.
Ogni cristiano è chiamato a rispondere a quest’amore supremo. Come? Tenendo fisso il suo sguardo sul crocifisso: attraverso un cambiamento radicale che lo riporti indietro, sui passi del suo orgoglio e della sua presunzione; lasciandosi guidare docilmente dallo Spirito di vita e perseverando nell’ascolto amorevole della Parola. Vivendo, in sintesi, una fede profonda, a tal punto interiorizzata da coinvolgere tutta l’esistenza e polarizzare l’intera vita.
Questa è la sequela a cui fa riferimento il Signore nel Vangelo. E seguire vuol dire legarsi a Lui nella sua passione, vivere in pienezza, perdere per trovare, donare per essere. Il discepolato che ci presenta Matteo in questo brano è esigente, sì, ma di una esigenza che è l’esigenza dell’amore e che può essere abbracciata solo se ci lasciamo inserire nell’opera di salvezza e di liberazione compiuta dal Signore Gesù. È la legge universale dell’amore che sovverte le regole fredde della matematica: donando si riceve, dividendo si moltiplica, sottraendo a sé si addiziona per tutti!