Ricominciamo il Tempo Ordinario con il Vangelo della chiamata degli apostoli da parte di Gesù. È una chiamata che parte da uno sguardo di Gesù che vede la folla e ne sente compassione “perché erano stanchi e sfiniti come pecore senza pastore”.
La chiamata è uno sguardo, la chiamata viene dalla compassione e ogni vocazione non è la propria realizzazione, ma ogni vocazione è la risposta ad una domanda, è la risposta ad una miseria è la risposta ad una situazione in cui Gesù riversa la propria compassione. Il progetto di Dio su di noi è davvero essere parte di questa compassione, è entrare in quella preghiera di Gesù dove “la messe è molta e gli operai sono pochi”.
È molto significativo che Gesù non parli di molti campi e di molti terreni, ma della messe che è molta. La messe si trova alla fine del percorso e del processo del grano; quindi il Signore vede già il compimento dove noi vediamo soltanto il deserto, dove noi vediamo la precarietà. Dove noi vediamo l’insufficienza, il Signore vede già la pienezza.
Guardare l’altro è riscoprire come il Signore guarda noi, con questo sguardo che in Lui ci vede già compiuti. Noi spesso vediamo i vuoti, il Signore vede la pienezza di quest’opera di Lui in noi, per la quale restiamo sempre poco e pochi rispetto alla messe. È fondamentale nella vita sentirsi poco, rispetto al tanto dell’opera di Dio, così che non ne saremo mai i padroni, ma sempre i servi.
Gli apostoli che sono chiamati con le loro fragilità familiari e di storie personali (c’è il fratello di.., c’è il pubblicano, c’è il traditore) e sono mandati con una nota di fondo, la nota della gratuità: “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
Partecipare all’opera di Dio è partecipare a una gratuità di risultati, ad una gratuità di tempi, ad una gratuità di cuore. È molto bello che la parola “gratuità” abbia la stessa radice della parola “gratitudine”, quella di cui parla la Prima Lettura, quando si fa riferimento al popolo che Dio si è scelto.
Noi siamo scelti, ciascuno di noi è scelto, nessuno di noi è sbagliato e dobbiamo portare, nella nostra missione, la stessa gratitudine di un Dio che “ci ha portato su ali d’aquila”.
La Seconda Lettura aggiunge che la missione nella Chiesa è “essere una comunità di riconciliati”; quindi: gratuità, gratitudine e riconciliazione.
All’origine di ogni vocazione c’è il perdono che Dio ci usa, non c’è il nostro personaggio da incensare.
Non so quanti sappiano che dietro la storia di Giovanni Maria Vianney, meglio noto come il Santo Curato d’Ars, c’è una grande ferita. Venne chiamato alle armi, al momento della coscrizione militare voluta da Napoleone, ma, al suo posto scelse di andare il fratello Francois. Quando arrivò a casa la notizia della sua morte, la madre fece tanto pesare su di lui questo triste evento, convinta che fosse colpa sua. Il Signore entrò nella sua vita e lui si trovò a dovere scegliere tra il considerare quella ferita una grande colpa, da portare su di sé tutta la vita, o una grande ferita da consegnare alla misericordia di Dio. Scelse di aprirsi alla misericordia di Dio e quella ferita gli consentì di diventare un padre misericordioso il cui confessionale fu visitato da tutta la Francia. Questo ci insegna che ciò che diamo è l’espressione di ciò che riceviamo dal Padre
Gesù poi aggiunge: “strada facendo predicate”. Essere salvati è ricevere la forza di camminare: una forza che guarisce chi è infermo; una forza che risuscita, che fa passare dalla morte alla vita; una forza che monda ciò che è lebbroso, cioè che ridà speranza e riunifica; una forza che scaccia i demoni, scaccia la menzogna che divide. Tutto questo non è possibile farlo da soli, ma solo perché per primo il Signore lo opera in noi.
Possa il Signore, oggi, rinnovare la nostra chiamata e ridonarci il suo profondo sguardo di compassione, affinché come siamo guardati da Lui, così guardiamo gli altri: “gratuitamente abbiamo ricevuto e gratuitamente doniamo”.