Celebriamo la Domenica della Divina Misericordia, domenica detta in “Albis deponentis”, quando i cristiani deponevano le vesti sulla tomba di un Santo per passare dall’abito alle abitudini, dalla veste alla vita, per essere la luce di Cristo, avendo la fede dei martiri. Era una veste di lino, perché il bianco rappresenta la luce.
In questo giorno, nel Vangelo, ascoltiamo che Gesù dona lo Spirito, come aveva fatto sulla Croce. E’ quello che aveva fatto il Padre quando aveva creato l’uomo, ma questi, gli apostoli, non sono vivi? Ecco, non basta essere vivi. Ci scarichiamo le pile con tanta facilità, quando si tratta di dare la vita per qualcuno, ma per dare la vita ho bisogno di qualcosa che mi renda più vivo della vita che mi hanno dato i genitori: la misericordia.
“A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi”, cioè “Andate e consegnate il perdono”, dice Gesù, che passa agli altri da te. Se hai gratitudine nel cuore, agli altri passa, in tutto quello che fai, che hai incontrato qualcosa che è più grande dei tuoi errori: la Risurrezione, la vita eterna che ha vinto ciò che il male ha ucciso nei nostri cuori, perché Cristo prende tutto questo nel Suo Corpo e Ce lo ridà amato.
A noi, come a Tommaso, Gesù dice: “infila un dito nella mia piaga” e le piaghe di Gesù sono i segni della passione che oggi diventano i segni della com-passione.
Le mani sono lacerate, perché strappano l’uomo dal male, il costato è squarciato perché da esso esce un fiume di misericordia, ma la fede non è un fatto individuale, è un fatto di comunione. C’è un luogo e un tempo per incontrare Dio e, come dice la Prima Lettura, per perseverare nell’ascolto, nella Comunione e nel Timor di Dio e perché, come dice la Seconda Lettura, tutto deve essere provato. Senza corpo non c’è fede. Abbiamo bisogno di ritrovarci, per toccare Cristo: non una regola, ma la vita nuova che è quella perdonata dove Cristo ci tocca e ci fa toccare gli altri.
Come diceva un lebbroso a Madre Teresa di Calcutta: “Perché fai così? Nessuno mai mi ha amato così”. Lei rispondeva: “perché Cristo mi ha amato così”.
Allora Tommaso che è Didimo, cioè gemello, vive con un fratello da sempre eppure ora non sta con i fratelli, ma Cristo si incontra solo nella Chiesa. E allora Tommaso deve tornare otto giorni dopo, in un luogo, in un tempo ben preciso, perché Gesù lo possa incontrare e apparire appositamente per lui.
Questa visita di Gesù passa da fuori a dentro e ci fa passare da fuori a dentro. Gesù entra a porte chiuse, perché quel Cenacolo, come tante nostre relazioni, è diventato una tomba. Gesù vince le nostre paure che rendono impossibile la comunione: o tra noi regna la morte o regna la vita.
Dunque, il perdono non è semplicemente un atto di volontà, ma un atto di fede: è Lui che ci perdona perché possiamo perdonarci e perdonare.
La fede, infine, ha due passaggi: perché hai veduto hai creduto e beati coloro che pur non avendo visto crederanno. Anzitutto non si può credere senza aver fatto un’esperienza, senza aver visto. Poi c’è un secondo passaggio: oggi mi vedi e credi, Tommaso, ma domani mi farai vedere.
Gesù, consegnandoci la misericordia, dice a tutti noi: non crederete, perché vedrete, ma perché sarete Cristo e lo farete vedere attraverso le piaghe che da ferite diventeranno feritoie.