Seduto sulla sommità della montagna il Maestro non può non ricordare ai tanti giudei che lo hanno seguito, la figura fondativa di Mosè. Mosè è il pilastro della fede ebraica e la stessa Torah acquista la sua autorità in virtù di Mosè. E Gesù, nell’interpretazione del primo evangelista, è Colui che “completa” Mosè, che riconosce l’autorità di Mosè ancorché vada a porsi su di un piano ulteriore rispetto a lui. Gesù sviluppa, qui, una serie di argomenti che tradizionalmente sono chiamati “antitesi” ma che, in realtà, non contrappongono la loro sostanza, al contrario, la esaltano, dice infatti: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”. L’antitesi è, invece, con la declinazione che Scribi e Farisei fanno della Torah – che viene espressa con “Mosè” – e dei Nebiim, “i Profeti”, a cominciare da Giosuè, secondo il canone ebraico. Gesù non critica il Mosè della Torah né i precetti e i divieti che egli ha ricevuto e trasmesso, anzi, ribadisce: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. Gesù mette in guardia da Scribi e Farisei che hanno fatto una lettura distorta della Scrittura. Non che non fosse lecito interpretarla, anzi era inevitabile e indispensabile ma qui Scribi e Farisei vengono accusati di non comprendere il suo messaggio e, quindi, di impedire l’accesso alla via della Sua giustizia col muro della propria. Per questo Gesù dice: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. Interpretare le Scritture è, dunque, lecito (a dispetto di ogni approccio fondamentalista!) ma occorre farlo lealmente, con l’intelligenza e il coraggio di un ascolto sincero. Anche il Maestro Gesù, infatti, interpreta la Legge, ne coglie e ne attualizza il senso, ne ricava un messaggio per coloro che lo seguono e lo ascoltano. La parola di Mosè si rigenera nella parola di Gesù, e come Mosè aveva rivelato quanto aveva udito da Dio sul Sinai, così Gesù toglie ogni velo per rivelarne l’essenza più intima. “Avete udito che fu detto non uccidere”: Gesù inizia dal quinto comandamento (nell’elenco del nostro Catechismo), quello che riguarda il fondamento del rapporto col prossimo, con la sua e nostra dignità. E legge il “non uccidere” con grande attenzione dedicandogli una vasta riflessione. Mentre Mosè aveva detto lapidariamente “non ucciderai” (cf. Es 20,13) intendendo non toglierai la vita fisica al tuo fratello, altrimenti sarai giudicato rendendo “vita per vita” (= la legge del taglione, cf. Dt 19,21), Gesù apre un’altra prospettiva: quella interiore dell’ira e del disprezzo. Basterà essere irati col fratello o disprezzarlo, considerarlo e chiamarlo “stupido”, “scemo”, per meritare lo stesso giudizio che Mosè prevedeva per chi lo avesse fisicamente ucciso. Non solo: Gesù completa il discorso con ciò che si deve fare invece di uccidere ed è: riconciliarsi col proprio fratello. Non basta, insomma, non fare del male, non optare per la “giustizia” della vendetta, ma occorre operare il bene, vale a dire cercare vie di riconciliazione, di abbraccio, abbattere i muri della distanza, dell’odio, della rabbia, verso il fratello. Che, nell’orizzonte cristiano, non è solo il fratello di sangue ma colui che appartiene alla tua stessa “razza umana”. Non c’è morte che possa rendere giustizia alla morte, né violenza che possa soddisfare la violenza, dice Gesù, abolendo così ogni possibile giustificazione della guerra compresa quella che ancora oggi, viene chiamata: “giusta”. Gesù continua con un’altra antitesi: le leggi e le sanzioni circa l’adulterio che, nella Legge, prevedevano, a loro volta, la morte per lapidazione (cf Dt 22,22; Lv 20,10). Gesù le mette dinanzi all’uomo rendendo lui il primo responsabile dell’adulterio: un delitto che si consuma nel cuore, prima che nel corpo, nel desiderio di possedere la donna come oggetto a propria disposizione, e nel pensare di avere il diritto di farlo, prima che nel consumare concretamente tutto ciò. Infine i giuramenti: un modo con cui si pretendeva di ricattare Dio! È l’umano che deve assumere la responsabilità delle proprie parole, che deve mantenere sana la propria bocca con la lavanda della verità.