In questa settima domenica del tempo ordinario, alle soglie della Quaresima, il Vangelo proietta una scandalosa aurora sugli occhi dei cristiani, uno scorcio di quel “non ancora” che illumina e provoca il “già” di chi ascolta. Chi è venuto a dare compimento alle parole di Mosè le sta, via via, rendendo perfette liberandole dai limiti che la paura ha sinora imposto loro e adesso, in quest’ultimo commento, sembra giungere quasi stravolgerle. “Avete udito che fu detto: «Occhio per occhio e dente per dente»”: seguendo l’ordine in cui i precetti e divieti della Legge vengono elencati nel libro dell’Esodo, dopo il Decalogo, Gesù va a interpretare il cosiddetto “codice dell’Alleanza” dove si trova la legge del taglione (cf. Es 21,24). Legge, che dai vari membri del corpo, verrà estesa all’intera vita, nel Deuteronomio: “Il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente” (19,21). In realtà viene ad esservi stabilita una giustizia retributiva ben superiore a quella sproporzionata che la precedeva: la legge di Lamec, figlio di Caino. In essa, infatti, era detto: “Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette” (Gen 4,23-24). Un’asimmetria che ci ricorda qualcosa di molto più recente rispetto ai tempi del Caino biblico, quando la morte di un tedesco valeva la vendetta della morte di dieci italiani. La Legge del Sinai dimostra di essere madre di una più alta civiltà quando stabilisce che ogni vita vale come l’altra, sia quella del re sia quella del cittadino comune, sia quella del povero sia quella del ricco, conferendo alla vita un valore assoluto. Ma due sono i limiti su cui Gesù va a intervenire: il primo è quello che ivi si intenda la vita del fratello ebreo e non di tutti gli umani al mondo; ancorché non manchino delle attenzioni per la vita del “nemico”, infatti, quella che viene protetta con la comminazione della vendetta è la vita del fratello, del figlio di Abramo circonciso. Non per nulla Gesù prosegue dicendo: “Avete inteso che fu detto: «Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico»”. Il prossimo è quello che fa parte della tua famiglia, della tua etnia, della tua “nazione” – oggi qualcuno direbbe! – mentre nel “nemico” ci sono tutti gli altri: gli stranieri, i pagani, quelli che sono fuori dal “muro” della tua appartenenza. Qualcosa che viene spontaneo paragonare a tanti consigli che sentiamo dare oggi in Europa: stabiliamo un confine tra noi e i migranti, i profughi, i mussulmani, tutti coloro che premono alle porte – immaginarie – ed erette proprio dal limes escludente della legge. Il secondo limite sta nel fatto che la vendetta tradisce la ragione stessa per cui Dio donò la Legge ad Israele: perché avesse la vita! La vendetta non riesce infatti che ad accumulare morte su morte. Ed è per questo che, sin dalle pagine del libro dell’Esodo, poco dopo che vi leggiamo sulla legge del taglione vediamo che Dio stesso si trova a trasgredirla! Verso quel popolo che alle pendici del monte Sinai, infatti, avrebbe meritato la morte perché s’era fabbricato un vitello d’oro per adorarlo, Dio rinunciò alla vendetta e si fece per loro pura misericordia. Quel popolo che da alleato era divenuto un nemico del suo Dio fu trattato da Lui come un figlio adorato! Cui si perdona perché possa vivere e mutare il suo cuore e capire che l’unica “giustizia” che genera vita è la grazia dell’amore, è la fraternità universale, è la riconciliazione offerta incondizionatamente, che abbatte il muro fra amici e nemici. Di questa “giustizia” di Dio – “che fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” – Gesù riconosce la radice nell’antica legge di Mosè e cerca di spiegarla a chi, pur sapendola a memoria, sembra non averla ben compresa. Qualcosa che rispecchia l’ignoranza anche di molti tra noi cristiani che ancora si scandalizzano del porgi l’altra guancia, che non vedono ancora altra soluzione che quella armata a chi fa la guerra. “Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”. Chi si dice cristiano non può rinunciare a quell’unica, originaria “differenza” che Tertulliano già riconosceva: “Amare gli amici lo fanno tutti, i nemici li amano soltanto i cristiani” (Ad Scapulam 1,3). “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? (…) Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.