Ritroviamo in questa domenica ancora una parabola di avvertimento. Gesù è a Gerusalemme, nella settimana della sua passione e nel tempio si ritrova a rispondere alle domande dei capi dei sacerdoti e degli anziani. Racconta di un invito a nozze. Ovviamente la parabola non intende sottolineare l’assurda pretesa del re, ma piuttosto il pericolo di chi, “chiamato” alla festa, possa sentirsi automaticamente al sicuro solo perché è stato invitato. Gesù, ancora una volta, ci mette in discussione e ci spinge a riflettere su noi stessi, invitandoci a guardare onestamente il nostro modo di vivere. Nessuno può credersi garantito e arrivato. Nessuno può dirsi certificato per il regno.
È sorprendente notare come la sala della festa resti deserta e malinconica, una rappresentazione spietata del fallimento del re: nessuno accoglie il suo invito, nessuno si unisce alla sua gioia. Sembra che nessuno mostri interesse, tutti sono affaccendati nei loro affari, immersi nella liturgia del lavoro e del profitto; non trovano tempo per le piccole cose, troppo occupati per vivere veramente; non sperimentano la felicità, hanno perso la gioia nel loro cuore inseguendo cose e affari.
Le nozze rappresentano indubbiamente il segno dell’alleanza con Dio che, come un sovrano benevolo, desidera solamente condividere la sua gioia nella festa. Tuttavia, le preoccupazioni terrene e gli affari spengono negli invitati il desiderio di partecipare alla letizia del loro Signore. Questo rifiuto della grazia ci degrada, trasformandoci in creature fameliche convinte che la violenza sia la soluzione a tutti i problemi.
C’è un particolare che colpisce nelle parole di Gesù: l’invito ad uscire, a recuperare la dimensione della strada per ritrovare la gioia della comunione. «Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze»: la volontà è che nessuno venga escluso. Questo aspetto meraviglioso del nostro Dio si manifesta quando, anche dopo essere stato rifiutato da molti, Egli continua a invitare tutti, senza distinzioni, senza alcuna esitazione, senza bilanciare o stabilire quote da assegnare. La volontà di Dio è quella di raggiungere tutti, senza escludere nessuno. Siamo tutti in viaggio, anche se talvolta affannati e zoppicanti, ma in cammino. La strada diventa simbolo della nostra libertà di scelta: possiamo seguirla verso la festa o allontanarci verso affari e preoccupazioni.
L’uomo senza veste nuziale non è peggiore degli altri, ma non ha creduto alla festa, non ha portato il suo contributo di bellezza alla liturgia delle nozze. L’abito nuziale rappresenta il nostro stato interiore trasformato dalla riflessione e dall’assimilazione della Parola di Dio. Non costituisce un semplice indumento da indossare in occasioni speciali, non indica le consuetudini e le tradizioni imposte da un mal celato senso del dovere, ma quel dinamismo spirituale che progressivamente plasma il nostro pensiero e il nostro comportamento in armonia con quello di Dio.
La veste necessaria per affrontare la vita con successo è Gesù stesso. Siamo chiamati a trascorrere la nostra vita rivestendoci di Cristo, facendo nostre le sue parole, la sua visione del mondo, le sue azioni e i suoi sentimenti, dare priorità a coloro che erano importanti per Lui. Perché la chiamata alla salvezza ed essere realmente salvati è un’equazione da risolvere, non una semplice identità da accettare senza riflessione. Questa equazione si concretizza solo quando l’incognita rappresenta “il principio di responsabilità”.