Il Vangelo della terza domenica del tempo ordinario ci presenta il secondo e terzo quadro che Matteo ha affrescato nel capitolo quarto. Dopo il battesimo di Giovanni c’è un altro “battesimo” per Gesù, quello del deserto. Lì, sulle orme dei suoi padri ebrei risorti dall’Egitto, Gesù è chiamato a decidere: se essere un Dio dell’onnipotenza e della distanza o un Dio fratello, umano e vicino. Gesù sceglie questa seconda via e resiste alla prova della fame e del potere e alle insidie del Tentatore. Sceglie di recarsi a Cafarnao, città d’adozione di Pietro e suo fratello Andrea, quelli che saranno i suoi primi compagni di missione. Ora che il Battista ha interrotto la sua, tocca a Gesù prendere il testimone. Si lascia il deserto alle spalle e va dove abita la gente, quella vera, si sposta da Nazareth per entrare nei villaggi dei pescatori, specialmente quelli dove c’è un gran movimento, come a Cafarnao. La regione dove Gesù va ad iniziare e condurre la maggior parte della sua vita pubblica ha una sua intrigante ambiguità: da una parte è un mondo piccolo e provinciale, è una regione periferica e malfamata rispetto alla Giudea. Basti pensare alla domanda di Natanaele: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?” (Gv 1,46); dall’altra, però, è sulla via del mare, orizzonte aperto, strada senza confini fasciata dalla bellezza e dalla paura. La “Galilea delle genti” è un mondo senz’altro contaminato ma ricco di fermenti e potenzialità sociali, economiche, culturali, internazionali. Terra meticcia, selciato impuro, dove pubblicani e prostitute, gabellieri e dominatori, soldati e mercanti si incrociano e s’incontrano senza toccarsi con i giudei osservanti, circoncisi gelosi della propria immunitas. Terra assegnata a Zabulon e a Neftali, il primo è ultimo figlio di Lia, il secondo l’ultimo figlio di Bila, ancella di Rachele, benedetti dal loro padre Giacobbe con parole di rara suggestione: “Zàbulon giace lungo il lido del mare e presso l’approdo delle navi, con il fianco rivolto a Sidone (…) Nèftali è una cerva slanciata; egli propone parole d’incanto”. (Gen 49,13.21). E benedetti, insieme ai loro fratelli, anche da Mosè, nel libro del Deuteronomio: “Per Zàbulon disse: “Gioisci, Zàbulon, ogni volta che parti (…) Chiamiano i popoli sulla montagna, dove offrono sacrifici legittimi, perché succhiano le ricchezze dei mari e i tesori nascosti nella sabbia (…)”. Per Nèftali disse: “Nèftali è sazio di favori e colmo delle benedizioni del Signore: il mare e il meridione sono sua proprietà”” (Dt 33,18-23). Quella terra simbolicamente adagiata sulle masse caotiche del mare, vedrà una grande luce, sarà culla del futuro. Quasi come dalle acque del Mar Rosso si aprì il sole su Israele, la schiava liberata. La parola di Isaia risuona nel Vangelo di Matteo e annoda i fili che scorrono tra la profezia e l’attualità: la luce arriva oggi e Gesù è la lampara. Essa brilla innanzitutto su coloro che abitano in terra tenebrosa, che sono oppressi e la cui vita è minacciata. Matteo fa propria la memoria di Isaia per alludere alla gente più comune: i pescatori, i contadini, i commercianti, le casalinghe di Palestina che sono asserviti alla volontà di chi dall’alto li governa opprimendoli, senza la luce di una sapienza necessaria, senza la giustizia di un re messia. Privati della dignità e della libertà, senza la pace. Citando le parole del profeta l’evangelista carica su Gesù il compito di assolvere a una legittima e divina regalità: “Perché tu hai spezzato il giogo che l’opprimeva, la sbarra sulle sue spalle, e il bastone del suo aguzzino”. E Gesù ubbidisce alla parola dei profeti perché è parola di Dio. Lo fa per amore del Padre e per amore degli oppressi. Perché il segno con cui si farà riconoscere proprio da Giovanni Battista è chiaro: “i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo” (Mt 11,4-5). Gesù sa che il Regno dei Cieli è un dono che chiede conversione. Per questo camminando lungo il mare della Galilea, chiama a sé dei fratelli, dei compagni, degli amici. Si unisce a loro, alla loro vita familiare per farli costruttori di un’altra famiglia, rammendatori delle reti della fraternità. Ed essi lo seguirono.