Le tre parabole di domenica scorsa hanno ulteriormente chiarito chi è e come Dio si comporta con i suoi figli, dagli atteggiamenti dei tre protagonisti (pastore, donna e padre) largheggiava un’esclusiva misericordia, tanto da farci percepire il senso del messaggio del Signore Gesù: Dio è in continua ricerca dell’uomo e gioisce della sua conversione. Nel Vangelo di questa domenica, siamo chiamati a riflettere nuovamente su di una parabola dal significato non proprio semplice e per certi versi paradossale: il padrone loda il suo amministratore disonesto e ci invita a comportarci come lui.
L’evangelista Luca dopo averci esposto il rapporto di misericordia esistente tra Dio e gli uomini, affronta nello specifico il tema delle ricchezze ovvero dopo aver parlato delle altezze dell’amore divino, scende nel concreto dei rapporti umani, che devono essere caratterizzati dall’amore vicendevole. L’amore per il prossimo si attua nel donare ciò che noi possediamo come bene sia materiale che spirituale, l’atto di carità è sempre il privarsi o l’impiegare una propria ricchezza in favore dell’altro. La colpa dell’amministratore della parabola è quella di sperperare i beni del suo padrone, così come il figlio minore aveva fatto con l’eredità ricevuta dal padre misericordioso. La ricchezza si manifesta negativa non solo quando viene trattenuta per egoismo, ma anche quando viene impiegata male, cioè non secondo la logica divina: lo sperpero è sempre sinonimo di egoismo. Questa logica la stiamo sperimentando proprio in quest’ultimo tempo, basti pensare alle guerre in corso, alla speculazione sulle materie prime per l’energia, ai miliardi bruciati nei giochi della borsa…
L’uomo ha sempre rischiato di non riconoscere il suo posto all’interno della creazione, arrivando a ritenersi il padrone dei beni terreni piuttosto che l’amministratore, così come il Signore gli aveva indicato. Facciamo molta fatica a comprendere che si è padroni delle cose nel momento in cui si donano e non quando si trattengono per sé. Un bene donato a chi è nel bisogno, un atto compiuto per soccorrere, rimarrà per sempre nostro, chi ha ricevuto da noi un qualcosa, ogni volta che guarda o utilizza quell’oggetto oppure ripensa a un momento in cui è stato consolato nella sua vita, viene ricondotto immediatamente a un donatore, non si può assolutamente prescindere da questo. L’enorme errore invece è pensare il contrario, in quanto l’accumulo dei beni ci rende schiavi di essi: se una persona possiede proprietà e ricchezze è soggetto alla loro continua preservazione, difesa, custodia, non è lui il padrone dei beni, ma al contrario sono quest’ultimi che ne determinano il comportamento. Tutti riconoscono che la pace è essenziale e fondamentale nel vivere comune, come mai allora la guerra? Vi è una logica di mercato, di accaparramento, di difesa della ricchezza che ci conduce a praticare delle strade, pur essendo consapevoli che non sono buone. La vera ricchezza sta nel dono, i beni sono fatti per essere condivisi, solo la carità ci aiuta a prendere consapevolezza del nostro posto nella creazione e di come nel condividere la ricchezza terrena si accumula quella del cielo.