Gli stravolgimenti culturali accaduti nell’epoca in cui ci troviamo, hanno determinato un uomo concentrato esclusivamente sul presente: non esiste il passato nella dimensione della memoria e dell’identità, così come non vi è futuro, quest’ultimo non inteso come desiderio o sogno riguardo a ciò che vorremmo si realizzasse, ma come il “fine” (télos) della vita. Un uomo, quello contemporaneo, che ha smesso di porsi delle domande intorno all’origine della sua esistenza e nella realizzazione di se stessa, riguardo al fine verso cui si indirizza e sbocca la vita di ogni persona umana. I Sadduccei seguaci del sacerdote Sadoc, che aveva unto re Salomone, rappresentavano la classe sacerdotale, aristocratica e ricca d’Israele, riconoscono solo i primi cinque libri della Sacra Scrittura (Pentateuco) e proprio per questo motivo non credono che ci sia resurrezione dopo la morte, che è un tema affrontato per la prima volta nel libro di Daniele. I Sadducei pongono in discussione il passato, accettano Dio come creatore e origine della Legge, ma sono contrari all’idea che Egli si manifesti compagno di vita dell’uomo: Dio è misterioso, non è in relazione continua con le sue creature. I seguaci di Sadoc, rinnegando la resurrezione, negano la finalità grande della vita a partire dalla quale e per la quale, leggere la realtà e la propria esistenza. È molto importante tener conto di tutto questo poiché è solo partendo dal concetto della resurrezione, che la vita di ciascuno di noi può acquistare un sapore e una prospettiva diversa. La persona che pone a fondamento la fede, come continua relazione con Dio e crede nella resurrezione, persegue un concetto d’amore diverso da chi si identifica con i Sadducei, un amore che è capace di perdonare, di accogliere indistintamente e di sacrificarsi anche sino all’estremo, così come ci racconta la prima lettura, con il caso di quei sette fratelli e la loro madre, che desiderando rimanere nella volontà di Dio, accettano il martirio. L’uomo che vive solo nel presente, può rendere l’amore sinonimo del sottomettere e dello schiavizzare l’altro: “la donna fu presa in moglie da sette fratelli”. Prendere, presuppone un pensiero ben preciso: siamo all’interno di questo mondo, creati magari da Dio, ma il fatto che tutto finisca con la morte, ci fa incappare nell’idea che siamo soli e che ci è possibile allontanare sempre di più il termine della vita, opprimendo chi può essere una minaccia ai nostri egoistici desideri, alla nostra tranquillità, al nostro benessere. Gesù non risponde al tranello dei Saduccei, ma ribadisce che siamo Angeli, da Dio veniamo e a Lui ritorniamo, non ci dissolviamo in questa realtà terrena, che la vita umana è sacra sin dal suo sorgere ed è conformata alla resurrezione. Non essere in questa prospettiva significa perseguire l’ideale di una felicità non comune, ma esclusivamente personale, dove si definisce diritto non ciò che vivifica l’uomo in modo positivo, ma che al contrario produce umiliazione e morte: si distrugge la famiglia, le relazioni, non esiste il bene dell’altro, ma solo la mia felicità, ora, in questo momento. Dire che siamo Angeli, significa che quel “noi” che avremo creato in nome del bene sulla terra, sfocerà in quella comunità d’amore che saremo in cielo.