Siamo ormai prossimi alla chiusura dell’anno liturgico e, per questo, siamo proiettati a riflettere sul tema escatologico, ossia, lo sbocco naturale verso cui si indirizza il cammino terreno. Il testo che ci viene proposto in questa domenica, infatti, parla delle “cose ultime” e il suo linguaggio si manifesta complicato e per certi versi misterioso, nel senso che punta a parlarci di realtà nascoste che siamo chiamati a conoscere. L’esistenza di ciascuno di noi non si dissolve nella storia, nel contesto sociale in cui si ritrova a vivere, poiché tutto scompare: ciò che abbiamo eletto e adorato come nostra divinità (sole e luna), come pure la nostra speranza, riposta in ogni forma di potere (stelle). Scompare il tempo, scompaiono i punti di riferimento, quelle luci che sembravano l’assoluto e che, invece, sono destinate a terminare, come tutto ciò che è terreno, a eccezione di me come persona, come figlio del Dio assoluto, che è Signore del cielo e della terra. Marco ci conduce nella centralità del buon annuncio, ricordandoci non solo che siamo fatti di cielo, ma che ciò che può sembrare la fine, in realtà è la manifestazione di un nuovo inizio. Quando il nostro sguardo medita queste crisi vede giungere il Figlio dell’uomo: il senso della storia. È bene dunque che le nostre intelligenze vengano terremotate, è bene che le nostre sicurezze decadano di colpo, nelle tante crisi che la vita ci pone dinanzi, poiché in questo modo, tutto ciò che è stato vissuto come il venerdì della passione si aprirà alla lettura del terzo giorno pasquale. Non andiamo verso il nulla o la dissoluzione, ma ripercorrendo al contrario lo scandirsi biblico dei giorni della creazione, veniamo riportati presso la nostra essenza, che è Dio, accompagnati dall’amore del Figlio. Nel mondo, tanta gente sperimenta su se stessa le ferite di una vita, che non ha più tempo, nel suo svolgersi monotono, e che risulta sempre più caratterizzata dalle depressioni di chi non ha speranze future. Molti hanno subìto le ferite della delusione, per aver riposto fiducia in chi, poi, è caduto miseramente, rivelando la sua vera natura; ma è proprio attraverso queste crisi che veniamo invitati ad andare oltre, facendo divenire queste ferite, come ci ricorda don Tonino Bello, le feritoie della luce pasquale, da cui traspare, a testimonianza per il mondo, l’essenza delle cose, quell’andare incontro a Colui che viene.