Il Vangelo di questa domenica ci presenta due episodi, intimamente connessi tra di loro. Nel primo, siamo a Gerusalemme, dove l’evangelista Marco ci propone, come ultimo personaggio, una vedova, che mette nel tesoro “tutto ciò che aveva per vivere”. Il Signore ci mette in guardia non dai peccatori, bensì dagli scribi, che sono considerati personaggi di alto rango religioso, in grado di leggere e interpretare la Legge di Dio. Se l’uomo viene attratto da alcuni aspetti, Dio guarda altro, poiché i titoli non contano nulla per Colui che è il Padre dell’umanità e vuole che i suoi figli vivano come fratelli. A differenza delle altre domeniche, non vi è nessuna domanda che viene rivolta a Gesù, ma da sé stesso Egli ammaestra la folla e i discepoli, con queste Sue ultime parole. Tutta la dignità dello scriba è basata sul lungo abito, che pone in evidenza il suo status di vicinanza a Dio e, proprio per questo, lo fa sentire “legittimato” nel pretendere tutte le altre cose, successivamente elencate. La sua voracità non si ferma a questo, si accanisce anche nei confronti dei più poveri tra il popolo, come le vedove, divorandone le case. Le parole degli scribi, come pure la loro teologia, certamente buona, sono però apparenze, in quanto tutto ciò che essi professano non poggia su una testimonianza di vita.
Nel secondo episodio, pur essendo nel tempio, tutto ruota intorno al tesoro, vero dio di quel luogo, e Gesù osserva come la Sua casa sia stata di fatto trasformata dall’uomo in una spelonca di ladri. Il tesoro del tempio aveva come finalità, ci ricorda Dt. 14,28-29, l’aiuto per le classi povere d’Israele, tra cui le vedove… Mentre tutti gettano del loro superfluo, ecco proprio una vedova che getta due monete: avrebbe potuto trattenerne una per sé, ma Lei, invece, pone nel tesoro tutto quello che aveva per vivere. Gesù, chiamando a sé i discepoli, che sono sempre mentalmente e spiritualmente lontani dal loro Maestro, loda quella donna, perché ha manifestato, con le sue due monete, una solidarietà orizzontale verso il prossimo, povero come lei, che tocca la sua stessa sussistenza. Quella vedova non ha un vestito di distinzione e apparenza, come gli scribi, ma possiede una vita di testimonianza, l’abito più bello che Dio pretende dai suoi figli.