In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
“Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”.
Due domeniche fa, rispondendo a Simone che gli aveva detto “Tu sei il Cristo”, Gesù gli aveva risposto “Tu sei Pietro”. Oggi il Signore allarga il cerchio, e dice a tutti noi, che ci riconosciamo nella professione di fede di Pietro, “Tu sei la Chiesa”.
E chi è, cosa è la Chiesa?
La Chiesa è comunione, rispecchiamento creaturale di quella comunione che è la Santissima Trinità.
La Chiesa è comunione che vuole tutelare se stessa, ecco perché in tutti i modi e a tutti i livelli prova a recuperare le relazioni lacerate dai dissidi (vv. 15-17); è comunione che mette in comune la terra con il Cielo, perché la sua radice è in Cielo ma si è fatta carico della vita della terra (vv. 18-19); è comunione sacramentale ed epifanica, perché l’unità trai suoi membri evoca, esprime e rende presente Cristo stesso.
L’errore fatto da Simon Pietro poco dopo la sua investitura, e che ci è stato ricordato domenica scorsa, era stato che egli aveva pensato il destino di Cristo “secondo gli uomini” (Mt 16, 23), cioè secondo una logica di rassicurazioni e di strategie di auto-conservazione. La vita altra di cui dovrebbe vivere la Chiesa, e dunque chi ne fa parte, oggi ci viene descritta in modo opposto, come una forma di esistenza in cui il baricentro non è nel proprio ombelico, nel proprio assetto, bensì nell’essere sbilanciati sull’altro, nel pensarsi necessariamente con e per gli altri. L’altro va recuperato, coinvolto, perdonato, perché l’altro è essenziale affinché Cristo si manifesti nel mondo e il Padre riconosca la nostra preghiera come sua.
Se voglio essere nella Chiesa, l’altro mi è necessario.
Ci sono proposte religiose, misticheggianti, che possono fare a meno dell’altro, e si pongono come cammini di crescita e di auto-perfezionamento pressoché illimitato, dipendenti dalla disciplina, dalla consapevolezza, dalla meditazione, ecc. Niente di ciò può però essere barattato per cristiano, anche se questo ci risulta scomodo e spesso di assai difficile attuazione, come ciascuno di noi sperimenta a qualunque livello della vita ecclesiale.
Se però la mancanza di comunione e di unità tra i membri della Chiesa scandalizza sia credenti che non credenti, ciò è dovuto al fatto che in essa il contrasto con un’alternativa possibile stride in modo particolare, perché questa alternativa in filigrana almeno talvolta traluce. Nella Chiesa le faziosità e l’individualismo fanno più male, perché l’alternativa possibile dell’amore e della comunione si sa e si vede, mentre nel mondo immerso nelle tenebre della paura e del peccato non solo l’individualismo non scandalizza, ma viene addirittura difeso come unica forma di buon senso. Le ferite turbano e fanno male in un corpo vivo, non in un cadavere in decomposizione.
Proprio questo turbamento, la vergogna per il nostro ridurre a impossibilità quanto oggi Gesù ci indica come legge della comunione nella sua Chiesa, ci sia di stimolo a riscoprire l’essenzialità dell’altro per la nostra personale salvezza.