Oggi, quarta Domenica di Pasqua, il Vangelo ci presenta la figura di Gesù Pastore, il quale “Chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori”. Il periodo pasquale che stiamo vivendo è un tempo particolarmente fecondo per l’annuncio cristiano. Ciascuno di noi è chiamato ad uscire fuori dalla propria realtà personale e a testimoniare al mondo la luce intramontabile del Risorto. La prima osservazione utile che possiamo trarre dal Vangelo di oggi è quella di considerare ogni pecora come “sua”, egli la possiede e la conosce personalmente. Giovanni usa volutamente e sapientemente la parola greca ἴδια, che indica appunto l’appartenenza esclusiva. Un dato imprescindibile per comprendere a pieno il significato del Vangelo di oggi. Il Pastore conosce personalmente e singolarmente le sue pecore perché gli appartengono, egli le ha comprate una per una con il prezzo altissimo del suo sangue versato sulla croce e ora, con la sua Risurrezione, le riscatta una dopo l’altra dalla morte. L’autorità del Pastore che “cammina davanti a esse” gli deriva dal fatto che sono sue, gli appartengono. Non solo, Giovanni aggiunge che “le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce”. Le pecore riconoscono questa appartenenza, corrispondono ad essa e per questo lo seguono. Il rapporto tra il Pastore e le sue pecore è un rapporto di reciprocità, di intima corrispondenza e non di sottomessa passività. Solo attraverso questa intima reciprocità possiamo essere condotti fuori dal recinto del nostro poverissimo e minuto mondo per andare incontro agli altri annunciando il Signore Risorto. Esce dalle proprie sicurezze solo chi sa di potersi fidare totalmente, l’uomo ha bisogno di conoscere colui al quale si affida. La salvezza ottenuta da Cristo, attraverso il mistero della Risurrezione, può essere partecipata all’uomo a patto che egli attraversi la porta della sua santissima umanità: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato”. Siamo chiamati ad entrare in comunione con Dio attraverso l’umanità del Salvatore. Questo significa riconoscere alla natura umana un’altissima vocazione. Tertulliano affermava con forza che per i cristiani la carne è il cardine della salvezza; “caro salutis cardo”. Questa importante e nota affermazione patristica ci fa comprendere meglio il significato dell’attraversare l’umanità di Cristo. Dal momento che Dio si è fatto uomo non vi è altra strada per l’uomo, per conoscere ed arrivare a Dio, che quella del nuovo umanesimo inaugurato da Cristo. Una sola è la porta che ci salva e che dobbiamo necessariamente attraversare, quella dell’umanità di Cristo. Viviamo nel dramma di un umanesimo ateo, come lo ha definito il celebre teologo Henri De Lubac. Nonostante le tante false “porte” che ci invitano continuamente ad entrare nell’errore, il trionfo di Dio attraversa e supera il dubbio dell’anima perché più forte dei ragionamenti che lo negano; nulla può cancellare nell’uomo il suo desiderio di Cristo.