C’è una strada impervia da percorrere per ogni uomo sotto il cielo, una strada che parte dalla nostra nascita, dalla nostra Betlemme e termina in un sepolcro. Una strada per alcuni più lunga, per altri forse troppo corta, una strada che nessuno può percorrere al posto di un altro, una strada, l’unica da percorrere. In queste settimane di Quaresima abbiamo seguito Gesù per la sua strada, egli come ogni uomo l’ha percorsa senza alcun trattamento di favore, dando vita ad una comunità di uomini chiamati a camminare. Non è casuale, negli Atti degli Apostoli, la scelta di chiamare i discepoli come “quelli della via”. Al riparo da definizioni troppo stringenti, da aggettivi troppo chiari e illuminanti, la Parola di Dio ci suggerisce che solo la via è essenziale. Lungo questa via Gesù, l’uomo che cammina, ci viene incontro. Sulla medesima via i suoi discepoli sono chiamati a riconoscere i volti da guardare e amare, le creature che parlano di Dio e ne sono parabole. Al seguito di Gesù, l’esistenza ripiegata su di sé, incapace di sentire e di parlare, si apre e così, dai luoghi del nostro isolamento, dalle case con le porte sbarrate per paura di essere contagiati, siamo ributtati inesorabilmente lungo la via; il nostro posto è proprio qui, lungo la via. La parola del Risorto ci stana dai rifugi nei quali vorremmo nasconderci, delusi e in preda a una crisi nera, e ci risospinge lungo la via per Gerusalemme, dove possiamo riannodare relazioni, lasciar fluire la vita e sperimentare di nuovo una gioia che sa far ardere i cuori. E’ la via ad indicare una vita di nuovo in movimento, una vita “risorta”, a suggerire la sapienza del passo dopo passo, a noi che, traditi dalla fretta e accecati dal fare, riteniamo che tutti i sentieri siano interrotti e che non ci siano vie d’uscita; a mostrarci che la fede nel Dio di Gesù vive di relazioni, di volti che si riconoscono, di mani che si stringono, di cuori che si appassionano e si commuovono. Non sappiamo in partenza che cosa incontreremo lungo la via, come la fede in Gesù prenderà forma negli incontri che faremo, grazie alle nuove situazioni che affronteremo. Non siamo padroni di una verità immutabile, al riparo dalle intemperie della storia. Siamo discepoli chiamati a discernere che cosa Dio ci stia chiedendo, in questo nostro tempo, mentre percorriamo la via. La via è sequela del Maestro, che domanda il coraggio di prendere la nostra croce, ogni giorno e di scoprire su quella croce, quando tutto sembra perduto, che è possibile sperimentare nell’oggi la salvezza, che la via del Paradiso è inaspettatamente riaperta, che con lui Risorto si può risorgere. Siamo “quelli della via”, chiamati ad uscire dalle Chiese, ormai abbandonate da un Dio che si è fatto carne, storia, e fa della nostra vita personale la sua Chiesa, la sua dimora. Noi non possiamo trattenerlo con abbracci soffocanti, imprigionarlo in definizioni che sono lettera morta, ingaggiarlo in battaglie combattute per difendere la nostra posizione. Lui, che ha camminato lungo le strade della Galilea, i cui piedi nemmeno la morte ha potuto fermare, tornerà come un ladro, che ruba le nostre sicurezze, che oltrepassa le porte sprangate e mette sottosopra la casa, indicandoci di nuovo la via. Oggi è la Pasqua del Signore, oggi la via raggiunge il suo compimento definitivo e ci è rivelato quello che sarà anche per ognuno di noi, ci è rivelato che la morte non è la fine della via ma dopo di essa c’è ancora una via da percorrere. Allora alziamoci e corriamo come Pietro e Giovanni; “correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro ma non entrò”. Corriamo ma non entriamo! Anche se dovessimo correre più velocemente di Pietro, perché le gambe sono più forti, ricordiamoci che senza Pietro non si può entrare nel mistero di Cristo; “giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette”. La Chiesa oggi ci introduce nel sepolcro e ci guida alla comprensione del Mistero Pasquale, ci apre gli occhi per vedere, affinchè il nostro vedere divenga credere. La Risurrezione che oggi celebriamo richiede la pazienza del discepolo che ama Gesù. Noi come Giovanni corriamo forte ma spesso cadiamo nel grande inganno di poter fare da soli, di poter comprendere il grande mistero della Pasqua senza Pietro, senza la Chiesa. Pietro per quanto vecchio e stanco ci è necessario. Anche se non capiamo molte cose, continuiamo a fidarci di lui e a seguire questa Chiesa, la Sua Chiesa, che in questi giorni, come tutti noi, appare forse un poco stanca e affaticata ma che rimane essenziale per comprende “la via”. Resurrexit sicut dixit, alleuia alleluia!