“Il Signore è il mio pastore non manco di nulla, anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me”. Sono parole tratte dal Salmo 22 che oggi, quarta Domenica di Quaresima, la liturgia della Parola ci invita a meditare. In questi giorni di grande sofferenza e solitudine interiore questo salmo risuona come un monito di speranza e di salvezza. La nota mistica e scrittrice, medico, Adrienne Von Speyer, convertita dal protestantesimo nel 1940 sotto la guida del grande teologo Hans Urs Von Balthasar, ebbe a dire del nostro tempo: “L’uomo è posto bruscamente in solitudine unicamente davanti al Signore e al proprio peccato”. Queste parole sagge e illuminate di Adrienne, che fotografano in modo appropriato l’oggi che stiamo vivendo, ci introducono in modo eccellente nel cuore dell’odierna parabola giovannea del cieco nato. Gesù passa e vede un uomo cieco dalla nascita e subito i discepoli domandano: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. La risposta di Gesù a questa domanda è di capitale importanza per comprendere che la condizione del cieco non è legata direttamente al suo peccato o a quello dei sui famigliari – “Né lui ha peccato né i suoi genitori” −, piuttosto alla condizione fragile di cui egli è costituito come uomo.
In questi giorni di sofferenza molti leggono la terribile prova dell’epidemia come una punizione divina, un modo decisamente anomalo con cui Dio vuole punire il peccato dell’uomo. Questa visione oltre ad uscire dal quadro biblico della rivelazione non tiene conto del mistero Pasquale di Cristo, di colui che prende su di sé il peccato del mondo, pertanto non è da ritenersi corretta.
Piuttosto la parabola del cieco nato ci offre un’altra chiave di lettura che ci è donata dal gesto che Gesù fa seguire alla sua risposta; “Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva e spalmò il fango sugli occhi del cieco”. Si ripete qui il gesto con cui Dio ha creato Adamo, plasmandolo dalla polvere del suolo. Gesù quindi si palesa Dio e crea l’uomo nuovo invitandolo a lavarsi, “Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe”. Il messaggio è chiaro.
Ogni uomo è cieco dalla nascita e da solo non ha la luce necessaria per vedere, il suo vedere dipende sempre da un Altro. Egli ha bisogno di rinascere nuovamente e di essere lavato dal peccato che lo rende cieco.
L’uomo si punisce da solo ogni qual volta si allontana da Dio e presume di poter fare da solo, cieco e malandato percorre strade di morte e non di vita. La pericope giovannea si conclude con un’altra interessante affermazione che conferma quanto detto: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane”.
Il vero peccato è quello di presumere di vedere da soli, l’illusione di non aver bisogno della grazia e del perdono.
Unica condizione posta affinché il peccato “non rimanga” è che sia riconosciuto. Questa nostra generazione, in questo tempo particolarmente difficile e doloroso, rischia di accusare Dio come la causa del proprio male, declinando ogni responsabilità e presumendo di potersi redimere da sola. Il momento attuale esige più che mai una risposta personale e decisa alla domanda che Gesù fa a ciascuno di noi come al cieco nato: “Tu, credi nel Figlio dell’uomo? Ed egli disse: Credo, Signore. E si prostrò dinanzi a lui”. Questo è un tempo per decidere, per scegliere e dopo aver scelto per adorare in silenzio il mistero della croce che avrà, se avremo fede, il suo epilogo nella Risurrezione. Ricordati sempre che se confesserai con la tua bocca che Gesù è il Signore, e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo.