“Che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?”. Con queste domande si conclude il Vangelo di Matteo di questa VII settimana Domenica del tempo ordinario. Un invito chiaro e inequivocabile a superare il minimo dovuto per fare della nostra vita qualcosa di “straordinario”, cioè di non comune, al di la della normalità. Gesù di fatto sembra far dipendere la differenza tra la vita dei cristiani e quella dei pagani da questo “straordinario” che egli chiede a chi lo vuole seguire più da vicino. In altre parole la vita del cristiano si deve distinguere per la sua capacità di trasmettere qualcosa di diverso, che supera l’ordinario. Il filosofo francese Jean Guitton affermava che il dono profetico del cristiano consiste nel vivere l’ordinario in modo straordinario. Ma in cosa consiste esattamente questo straordinario a cui Gesù fa riferimento? Il Vangelo di oggi ci svela questo mistero nella parte finale: “Voi dunque siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste”.
Lo straordinario consiste nella possibilità dell’uomo di partecipare attraverso la grazia alla stessa vita divina e dunque nella capacità di vivere la vita di Dio nella propria vita. Abitare la storia e viverla sentendo, vedendo, amando come Dio stesso sente, vede, ama.
La seconda lettura, tratta dalla prima lettera ai Corinzi, sottolinea in modo efficace questa “inabitazione” di Dio nella vita dei fedeli; “Fratelli, non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi”. Il Vangelo di oggi propone una serie di atteggiamenti da superare, chiedendo un di più,
un di più che trova pieno compimento nella legge dell’amore, la sola legge capace di superare ogni calcolo
e di rivelare lo straordinario che sta al di là di ogni scelta fatta per pura e semplice carità. Matteo manifesta con determinazione l’esigenza di perfezione al termine delle sei antitesi oggi riportante nel brano del Vangelo. Nella prima lettura troviamo un monito da parte di Dio per il suo popolo; “siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo”. Il libro del Levitico riferisce questa parola fondamentale data da Dio a Mosè, essa rappresenta una parte integrante dell’intera alleanza tra Dio e il suo popolo. Tale monito esprime bene il profondo bisogno di confrontarsi con Dio nel tentativo di assomigliargli, di essere una cosa sola con lui. Siamo stati creati a sua immagine, ma quella immagine che segna la nostra esistenza è offuscata, confusa, nascosta.
Ci occorre una sovrabbondanza di giustizia che superi la giustizia degli uomini ed orienti la nostra vita al suo progetto di salvezza.
Non è la rettitudine morale come per i greci, o la sottomissione ai precetti come per i giudei che ci mette nella direzione di Dio, quanto la dimensione dell’amore fatto carne e che dimora in ognuno di noi.