La prima domenica di Avvento si apre nell’attesa, nutrita da una coscienza vigile e matura che sappia donarsi e così accresca il potenziale di amore che ci è stato consegnato nella vita per percorrerla con gioiosa dedizione.
Il nostro esistere non è statico, immobile, fossilizzato, ben al contrario è sottoposto a continui movimenti, a continui bivi in cui dover scegliere la via giusta ed individuare il percorso che ci consenta di giungere alla meta.
Tutto e sempre innervato e attraversato dal pulsare dell’attesa della venuta del Salvatore.
È un padrone che si fida o solo vuole mettere alla prova?
Un padrone il nostro che vuole la nostra personale adesione, il nostro sì, avulso da ogni condizionamento. Quand’anche fosse patire l’assenza della Sua presenza.
Perché non ci è stato fatto conoscere questo momento così fatidico e particolare? Questo mistero pervade la storia. Allora ignorare significa vivere nella precarietà? Nel senso di disagio perché il fato incombe e non lascia scampo?
Dobbiamo curare il lessico perché sia specchio del nostro sentire interiore nutrito dalla Parola evangelica: invece di precarietà parliamo di attesa trepida, perché Colui che verrà noi Lo conosciamo e da Lui siamo amati.
Se esiste il portiere, significa che bisogna superare un varco, bisogna possedere un lasciapassare? Essere certi di aver svolto quanto affidato altrimenti scatta la denuncia del portiere che sorveglia?
Quattro sono i momenti della notte? Quale il peggiore? Quale il migliore?
In poche righe ritorna tre volte il monito – gregoreo martella (34, 35, 37) – per non essere ottusi, per cogliere il lampo dell’aurora: Vegliate! Non sonnecchiate, non appisolatevi, rimanete desti, scrutate i passi del padrone che, forse, è proprio dietro l’angolo e giunge quando mai te l’aspetti. Essere capaci di cogliere le spie dell’arrivo del padrone richiede allenamento e perspicacia.
Chi si lascia accalappiare dal sonno cade in preda a pericoli: Sansone ne è un esempio lampante.
Chi veglia invece è solerte anche nell’individuare i passi del Satana, quando si avvicina martellando e scuotendo il rapporto con il Signore, insinuando dubbi, facendo rilevare fatiche.
La durezza del rimanere svegli sembra impropria, si potrebbe essere più forti semplicemente dormendo, invece il paradosso spirituale è proprio questo: più si veglia, più si rimane desti, più si è forti e pronti. Così Satana ha perduto la partita ed è sconfitto.
“State attenti”, nel greco suona: guardate, osservate. Bisogna che la veglia liberi lo sguardo, lo renda capace di percepire la realtà per quello che è, non per quello che noi vorremmo fosse. Senza che le distrazioni lo appannino.
Il Signore Lo incontreremo. Certo, prima o poi. Non è detto che non avvenga presto o prestissimo.
Mettiamo al bando sentimenti di angoscia, di tristezza e coltiviamo la gioiosa attesa, qui scopriremo la Sua traccia.
Solo nel contesto quotidiano, vero e proprio, nella concretezza della realtà, noi andiamo incontro al Signore che sta venendo, allora si staglierà la speranza.
Basilio di Cesarea ammoniva: “Che cosa è specifico del cristiano? ‘Vigilare ogni giorno e ogni ora ed essere pronti nel compiere pienamente la volontà di Dio, sapendo che nell’ora che non pensiamo il Signore viene”.
Quale il compito di servo in questa attesa?
Il Veniente, verrà non ritornerà, dobbiamo imparare a cogliere il kairos, l’irruzione del Signore, il momento opportuno, non lasciarsi sopraffare dal kronos, quel tempo che scorre inesorabilmente.