II Domenica di Pasqua

At 5,12-16; Ap 1,9-11a.12-13.17-19; Gv 20,19-31

I discepoli vedono il Signore, lo riconoscono e gioiscono. Tommaso non può vedere perché non era presente. Il suo sguardo quindi rimane ancorato a quanto del Signore conosceva: catturato, condannato a morte, deposto in un sepolcro.
Al Risorto Tommaso prestava fede? Si direbbe proprio di no.
Negli otto giorni trascorsi fra la gioia dei discepoli e il suo rifiuto di credere loro, per non esserne stato testimone diretto, presente, quale è stato il suo sentire?
Ritornava sull’evento? Lo cancellava dal suo animo perché travolto dalle mille e una incombenze del vivere quotidiano?
La trasmissione della fede, la testimonianza dei credenti non solo viene messa in dubbio ma viene messa a tacere. Per Tommaso conta solo la propria, esclusiva, esperienza.
Deve possedere, inoltre, due caratteristiche: vedere e toccare.
Prove tangibili, inequivocabili che gli altri discepoli non hanno richiesto, per loro è bastato accettare quanto Egli ha offerto: Sé stesso, passato attraverso la temibile e fatale prova della crocifissione.
È stata una suggestione collettiva? Il bisogno impellente di eliminare con un’allucinazione un dolore che sconvolgeva la propria vita?

Se l’esito è la gioia e se questa prorompe in un annuncio, il piano è altro: la sollecitudine del Maestro per i suoi, per poterli aiutare e fortificare.
Il dono è quello del Soffio che rende loro, semplici uomini, persone capaci di accogliere lo Spirito santo, di esserne pervasi e, di conseguenza, di donare a loro volta il perdono dei peccati. L’anello della trasmissione è aperto.
Implica contatto con i propri simili, suscitando il desiderio del perdono per farli rinascere nella certezza gioiosa di essere perdonati.

Tommaso ha fatto resistenza, non è riuscito semplicemente a constatare, a valutare quanto i discepoli fossero mutati una volta raggiunti dal Soffio.
Eppure apparteneva al gruppo dei Dodici, undici sono mandati ed egli rimaneva immobile, statico e fermo nella sua decisione.
Gli mancava l’esperienza personale, l’essere toccato nel suo sguardo, provare a se stesso che non si trattava di autosuggestioni, di elucubrazioni fumose ma del Dono del loro Maestro.
Indubbiamente il Risorto aveva notato l’assenza di Tommaso. Perché non lo ha atteso?
La perplessità di Tommaso sarebbe diventata conforto per noi nel difficile cammino della fede, mentre la sua sincera esplosione di fede (senza aver toccato!!) avrebbe accompagnato ogni nostra celebrazione eucaristica, esclamando dinanzi al Pane e al Vino: “Mio Signore e mio Dio!”.