Il Vangelo di questa XXXIII domenica del tempo ordinario sembra soffermarsi su un tema di grande attualità, oggetto di curiosità e di ogni genere di superstizione; la fine dei tempi. La fine del mondo è da sempre associata allo sconvolgimento della creazione e a spaventosi fenomeni naturali che evocano visioni apocalittiche e catastrofiche. Gesù, pur confermando questa realtà, si sofferma su un altro punto di vista, la grande persecuzione dei suoi figli. Questa inevitabile situazione sembra essere preceduta dalla presenza di falsi testimoni che si presenteranno a suo nome, ma la questione più seria è che molti credenti andranno dietro a questi personaggi senza battere ciglio, tanto che Gesù ammonisce: “non andate dietro a loro”.
Il vero problema è non saper riconoscere Gesù da una sua caricatura, cosa possibile per chi crede di averlo conosciuto e in realtà non ha mai avuto con lui nessuna autentica relazione.La grande persecuzione sembra inevitabile e intrinsecamente associata all’ultima ora, tuttavia la persecuzione profetizzata da Gesù non è una “maledizione” ma “un’occasione per dare testimonianza”. Non a caso il termine “martire”, che deriva del greco, si traduce con “testimone”. Ogni vero testimone del Vangelo per essere tale deve passare dal vaglio della passione e morte di Gesù e ha come sigillo la croce.
Il Vangelo termina mettendo l’ascoltatore davanti ad un’apparente contraddizione.
“Uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto; con la vostra perseveranza salverete la vostra vita”. Se la sequela può comportare il perdere la vita a causa del nome di Gesù, perché viene detto che nemmeno un capello del nostro capo andrà perduto? Il messaggio evangelico è chiaro e senza ambiguità, c’è una morte “fisica” da cui nessun uomo può sottrarsi e c’è una morte “spirituale”. Chi muore per il nome di Gesù non si “perderà” ma “rimarrà” e supererà l’insuperabile muro della morte e del non senso. Invece di porre l’attenzione sui fenomeni catastrofici che attendono la creazione, il cristiano è chiamato a fissare il suo sguardo su Gesù e a perdersi con lui e per lui nel servizio fedele e generoso al Vangelo. Non deve far paura la catastrofe naturale, deve far paura la perdita di vista del vero tempio, del vero tabernacolo, della presenza di Cristo in mezzo noi.