“Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”. Ogni Domenica concludiamo la nostra professione di fede con queste parole che dovrebbero esprimere non solo una delle convinzioni più profonde del nostro credo ma dovrebbero illuminare anche il nostro modo di vivere.
Questa XXXII Domenica del tempo ordinario la liturgia ci dà occasione di riflettere sul mistero della risurrezione, della nostra risurrezione. Destino ultimo che attende ciascuno di noi in virtù del mistero Pasquale. La prima lettura, tratta dal secondo libro dei Maccabei, ci illustra la professione di fede nella risurrezione di quattro dei sette fratelli costretti dal re “a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite”. In particolare il secondo fratello si esprime così: “Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re dell’universo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna”. A queste parole fanno eco le voci di migliaia di martiri cristiani che ieri come oggi fissano lo sguardo non sul momento presente ma sulla corona di gloria che non appassisce e che è data a tutti coloro che si mantengono e si manterranno fedeli.
Se è vero che non tutti siamo chiamati a glorificare Dio nel martirio, tutti però siamo chiamati ad attraversare la scena di questo mondo tenendo conto che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere manifestata in noi.
Senza prospettiva escatologica, senza il fondamento della risurrezione, la fede perde il suo significato. Paradigmatica è la domanda posta a Gesù nel Vangelo dai sadducei, “i quali non credono nella risurrezione” e domandano: “La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie?”. Ora se i sadducei non credono nella risurrezione perché fanno una domanda proprio sulla risurrezione? Appare chiaro che la domanda fatta non ha un carattere interrogativo nei riguardi di Gesù ma puramente teorico, sterile, contraddittorio. Gesù si rivolge a loro affermando che “quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione sono figli di Dio”.
Così facendo Gesù cerca di riportare il discorso su una verità antropologica essenziale, per lui non è importante di chi sarà moglie la donna nella risurrezione, ma è importante che ogni uomo prenda consapevolezza di essere figlio di Dio e per questo chiamato a partecipare alla sua vita immortale.Se l’uomo perde il senso dell’appartenenza a Dio perde anche la prospettiva della vita eterna, non sono i discorsi sterili sull’esistenza dell’aldilà che ci convincono della risurrezione, piuttosto è il vivere da figli di Dio che ci fa sperimentare che il nostro Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti viviamo per lui.