La riflessione di questa XXX Domenica del tempo ordinario pone la sua attenzione sul tema centrale della “giustificazione”. Nel Vangelo di Luca vengono menzionati due uomini che salgono al tempio per pregare. Di entrambi viene rivelata l’appartenenza, uno fariseo, l’altro pubblicano, tuttavia l’evangelista sembra essere più attento all’atteggiamento con cui questi uomini si rivolgono a Dio piuttosto che alla loro provenienza. Del fariseo viene detto che “stava in piedi”, mentre del pubblicano che“si era fermato a distanza”. La prima impressione è che Luca voglia sottolineare che
in ordine al rapporto tra l’uomo e Dio conta più l’atteggiamento interiore che l’appartenenza esteriore ad una categoria.
Il primo invito evidentemente è quello di
prendere le distanze dalle innumerevoli convinzioni errate che ci fanno pensare “giustificati” semplicemente per il fatto di essere cristiani, senza che a questo dato corrisponda un atteggiamento interiore decisivo.
L’insegnamento evangelico evidenzia chiaramente come il fariseo che “non tornerà a casa sua giustificato” sarà escluso da questa giustificazione non tanto per le sue parole ma per l’atteggiamento con cui si è rivolto a Dio. Quello stare in piedi, invece di indicare l’atteggiamento di chi è vivo, risorto per aver ricevuto da Dio un dono, diviene invece arroganza e presunzione di essersi salvato da solo. Il pubblicano invece “fermatosi a distanza” attende di essere raggiunto dalla misericordia di Dio, sapendosi indegno, attende una giustificazione che egli stesso non si può dare con nessuna opera buona, egli sarà da Gesù “giustificato”. L’imperfezione, la fragilità e la condizione miserabile dell’uomo, una volta consegnate nelle mani di Dio ed espressamente riconosciute attraverso l’umile confessione delle proprie colpe “O Dio, abbi pietà di me peccatore”, attirano la misericordia e la giustificazione di Dio. Paolo ci ricorda che
ogni vita cristiana è attraversata dal combattimento quotidiano della “buona battaglia” dove ognuno è chiamato a conservare il dono della fede, ma soprattutto a ricevere la giustificazione come un dono e un premio per la propria fedeltà, non per i propri meriti:
“la corona di giustizia che il Signore, il giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno; non solo a me, ma anche a tutti coloro che hanno atteso con amore la sua manifestazione”. La giustificazione è davvero l’opera più eccellente dell’amore di Dio, manifestato in Cristo Gesù e comunicato tramite lo Spirito Santo. Sant’Agostino ritiene che “la giustificazione dell’empio è un’opera più grande della creazione del cielo e della terra”, perché “il cielo e la terra passeranno, mentre la salvezza e la giustificazione degli eletti non passeranno mai”. Fede, attesa ed umiltà divengono così condizioni necessarie per poter essere graditi a Dio e da lui giustificati in Cristo.