Dn 12,1-3; Eb 10,11-14.18; Mc 13,24-32
Si avvicina la fine dell’anno liturgico e il Vangelo ci dice proprio dove andremo a finire; è bello saperlo, perché dice il senso del nostro cammino e ci presenta il quadro finale della storia umana. Siamo sinceri: molti di noi pensano che finirà male, per questo abbiamo paura e portiamo con timore il conto dei nostri giorni perché poi, dopo, è la fine. Invece questo Vangelo è fondamentale per la nostra fede ci fa vedere il termine di tutta la storia e il termine della nostra storia personale come un incontro col Signore. Significa che non andiamo verso il nulla.
Il finale è la raccolta di tutti i giusti nel Regno del Padre, nella comunione con Dio. Per spiegare questo ultimo tempo, Gesù usa il linguaggio apocalittico, ma avverte i suoi a non volerne conoscere il momento. Conta solo essere pronti, stare in attesa, come se ogni giorno fosse il penultimo rispetto alla venuta del Signore. Il “disfacimento” drammatico dell’universo dice la sua fragilità e la radicale dipendenza dal Creatore: il cosmo è destinato a finire e nel suo destino ci sono guerre, terremoti, fame e desolazione. Le costanti tragiche della vita e della storia, tutto il buco nero del male sarà inghiottito per sempre; finalmente apparirà la salvezza di Dio.
Dietro lo sconvolgimento del cosmo c’è un annuncio di speranza e di salvezza: l’ultima parola non è del male, ma di Dio. Questa è la visione cristiana – grazie a Gesù Cristo – della storia. Le lotte e le difficoltà sono come le doglie del parto della nuova creazione.
Il tempo che ci rimane non è neutro, né secondario; è carico di responsabilità perché è gravido della promessa che si realizza nella fedeltà alla Parola. Il discepolo non deve sapere altro; gli basta essere sicuro della parola del Maestro perché il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Noi sappiamo cosa dobbiamo fare. E questo ci basta. La fatica non è inutile, perché sappiamo la direzione, il fine: Gesù, il crocifisso-risorto, il Signore.
Il tempo da qui a lì, a quell’ora, è tempo di attesa, di vigilanza, di operosità, di preghiera. Anche di poesia, come questa di sr. Marie-Pierre de Chambarand: “… verrà una sera / in cui tira aria di sventura, / può darsi. / Quella sera, sulle nostre paure, / l’amore avrà l’ultima parola. / Gridate a tutti gli uomini / che nulla è compromesso / della loro speranza”.