Dn 7,13-14; Ap 1,5-8; Gv 18,33b-37
L’ultima domenica dell’anno liturgico è la festa di Gesù Re dell’Universo, e la Parola ce lo mostra umiliato, giudicato e condannato da Ponzio Pilato, il peggior despota che abbia mai governato per conto di Roma e del suo esercito, fra i più catastrofici dei grandi invasori. Filone di Alessandria accusa Pilato di prevaricazioni e crudeltà insensate. Lo storico Giuseppe Flavio parla di sue istigazioni per aizzare rivolte da soffocare poi con ferocia. Lo stesso imperatore di allora, Tiberio, sconfessò Pilato e gli impose di ritirare un decreto. Alla fine, un’ingiusta repressione ordinata contro i Samaritani gli procurò la sospensione dall’incarico e il richiamo a Roma. Pilato come capo delle forze di occupazione aveva lo “ius gladii”, il diritto di vita e di morte sui sudditi ebrei.
Caravaggio nell’Ecce Homo rappresenta Pilato che addita Gesù. La luce che piove dall’alto trae dal buio la figura di Cristo e alcuni dettagli delle altre, le mani e la faccia di Pilato, inquieto e sprezzante, le mani e la testa dell’aiutante. Il mantello aperto e sospeso sopra le spalle di Gesù mette in evidenza il suo giovanissimo corpo inerme, il gesto rassegnato delle mani incrociate e legate, la canna-scettro infilata nella mano destra, la sua umiltà accentuata dagli occhi bassi. Pilato sembra quasi dare forma umana al buio, quasi una personificazione del “potere delle tenebre”. Gesù è un re inerme e fragile, ma ha con sé la forza della verità. La debolezza di Gesù, come dice l’apostolo Paolo, è “più forte degli uomini”.
Il mistero assoluto – “Cos’è la verità?” – è risolto. L’inconoscibile è svelato; la verità è l’amore del Padre, esposto nella pasqua di Gesù, sconvolgente testimonianza della potenza dell’amore. D’ora in poi tutta l’umanità è figlia di Dio.