Zc 9,9-10; Rm 8,9.11-13; Mt 11,25-30
Il Figlio ci confida il Padre. L’accesso a Dio, il mistero dei misteri, l’infinitamente inaccessibile alle pretese dell’intelligenza presuntuosa ed egocentrica! E lo fa con parole semplici, comprensibili ai piccoli – solo a loro – e disponibile a coloro che sono stanchi e oppressi, miti ed umili di cuore! Cinque versetti, la misura di un tweet, custodiscono l’entrata in Dio.
Gesù parla a tutti, non solo ai dodici (non tutti siamo apostoli), perché tutti siamo stanchi e oppressi e ognuno può comprendersi e mostrarsi piccolo, ossia mite e umile di cuore. Dall’irripetibilità della relazione fra Padre e Figlio sgorga l’invito a tutti, la chiamata universale.
Non sempre chi porta un peso ha il cuore triste. Nel libro della Genesi Giacobbe si fa schiavo di Labano per sette anni, ma questo gli pare cosa leggera tanto è il suo amore per Rachele. E san Paolo scrive: “Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura”. Certo, è un mistero, il mistero dell’amore di Dio. Ad alleggerire il giogo è la misericordia del Signore.
La preghiera è diretta a Qualcuno; per molti è necessaria anche la direzione verso un luogo. Il Vangelo di Gesù ci dice dove indirizzarci: “Venite a me”; che non è indicazione del verso, ma insegnamento del cosa e del come (“imparate da me”).
Che cosa ha nascosto il Padre “ai sapienti e ai dotti” e ha mostrato “ai piccoli”? Gli esperti di cose dello Spirito dicono che il segreto di Dio è il mistero della passione e morte di Gesù; solo i piccoli possono capirla perché rappresenta la suprema umiltà di Dio, la sua “piccolezza”.