III domenica di Quaresima

Es 17,3-7; Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42

La pretesa assolutezza e universalità della fede cristiana in Gesù, Figlio di Dio e unico Salvatore del mondo, oggi si scontra con una diffusa mentalità relativista secondo la quale tutte le religioni sarebbero ugualmente inadeguate per cui la religione è ridotta a esperienza privata, soggettiva, emotiva, lasciando libero il campo al cosiddetto “supermarket delle religioni”. La proposta di verità, in campo etico e religioso, viene qualificata come presunzione, addirittura fondamentalismo, atteggiamento intollerante. L’impegno missionario è visto come imperialismo spirituale e culturale. Il vero scandalo, per questa mentalità relativista, è l’assolutezza di Gesù Cristo quale piena rivelazione di Dio e unico salvatore di tutti gli uomini.

Tutto il Vangelo – e quello di oggi ne è una pagina esemplare – ci dice che Dio ci è venuto incontro personalmente, con il nome e il volto di un uomo, Gesù di Nazareth. Dio si è fatto uomo e l’uomo è innalzato fino a Dio: nessun’altra religione ha una notizia simile, nessuna offre una speranza più audace. Da qui nasce la meraviglia, la gratitudine, la speranza, la spinta missionaria: quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi. Esattamente quello che fece la donna samaritana con i suoi paesani.

Il dialogo tra le religioni va benissimo, anzi è necessario. Ma non possiamo rinunciare a proporre la nostra fede. Per i cristiani questo non è un vanto, ma una responsabilità che spinge a pregare, operare, sacrificarsi, amare tutti, cristiani e non cristiani. Chi ha incontrato Gesù – di notte, come Nicodemo, o nella calura del mezzogiorno, come la samaritana – diventa a sua volta segno e presenza dell’amore di Dio che attrae a Cristo o con la conversione o almeno con l’apertura, l’orientamento, la vicinanza.

Padre Marco Rupnik, artista e autore del mosaico, dice che la Samaritana nelle raffigurazioni antiche porta usualmente un contenitore che qualcuno ha spiegato essere un’urna funeraria con la quale attingeva al pozzo. Siccome erano morti tutti i suoi mariti, la donna era familiare alla morte, viveva così vicina alla morte da bere al suo pozzo. La donna viene con questa sua vita e questa sua urna al pozzo.
Cristo è provato, stanco, ha sete e si abbassa a chiedere, così che la donna possa a sua volta chiedere, quando riconosce con il cuore che lì c’è la fonte della vita. Allora la Samaritana chiede quest’acqua, per non avere più sete e non venire più ad attingere al pozzo. La donna riceve da Cristo l’acqua – prima era lui a chiedere a lei da bere -, e allora le cade dalle mani l’urna funeraria, che ormai non è più la fonte a cui dissetarsi.

Il pozzo è pieno di sabbia, è prosciugato, il vento ci ha portato dentro la sabbia. Cristo infatti è il pozzo: il suo mantello diventa il pozzo, per offrire da bere una bevanda nuova, già accennata sul costato dove Cristo tiene la brocca. La Samaritana fa una richiesta, senza saperlo, più grande di quanto pensa. Tutto parte da un fraintendimento: lei chiede semplice acqua, Cristo le dà l’acqua viva, cioè le dà se stesso.
La Samaritana chiede a Cristo la verità più profonda, l’acqua che disseta per sempre, perché in qualche modo, nel suo profondo lo riconosce come Messia, pur partendo da fraintendimenti, e si fa missionaria al modo giusto, al punto che molti samaritani credettero in Cristo per le sue parole.