Immacolata

Gen 3,9-15.20; Ef 1,3-6.11-12; Lc 1,26-38

Il brano evangelico di questa Solennità introduce nella storia della salvezza un dato del tutto inatteso ed inedito. Il Primo Testamento ha sempre annunciato delle nascite straordinarie di personaggi che compiranno grandi opere: dono dell’Altissimo a donne colpite dalla sterilità.

Con Maria di Nazareth, invece, ci ritroviamo dinanzi ad una fanciulla vergine a cui viene chiesto di acconsentire ad un progetto che si palesa a spiragli, in sostanza: non si sa dove vada a finire.

Annuncio ad una donna qualsiasi, non ammirata per la sua bellezza, non ricca o potente. Una giovane comune, semplice, che viveva in un angolo del regno.
Non ci parla forse delle periferie su cui Francesco ama ritornare per farci comprendere che la Chiesa si dilata ovunque e raggiunge tutti e chiunque?

L’angelo inviato la coglie nel suo contesto quotidiano, non nella solennità e maestosità delle cerimonie del Tempio come Zaccaria. In un ambiente molto simile al nostro, forse anche grigio per la sua ripetitività, angusto per il peso di un lavoro faticoso, e, magari, senza le certezze che si vorrebbero, quasi lasciati su di una corda da equilibrista per giungere a sera, essendoci guadagnata a stento la giornata.
L’angelo, e Maria lo sapeva, aveva parlato ai grandi testimoni biblici: a Mosè, a Geremia, a Gedeone, a Ruth … le si rivolge ora con il saluto che concentra in sé la gioia messianica di chi viene scelto per servire l’Altissimo e il suo popolo.

Buon per noi che Maria ne venga turbata, così la sentiamo vicina e sorella quando, in un modo o nell’altro, veniamo interpellati per prodigarci nel servizio alla Chiesa, ai fratelli e alle sorelle.
Potessimo da Lei apprendere come interrogare per capire il nostro ruolo effettivo! Abitualmente siamo carichi di dubbi, di incertezze. Il Suo invece è un realismo che chiede soltanto di essere illuminato e di non vivere l’esperienza del timore che può paralizzare e condurre al diniego.

Sarà lo Spirito Creatore che scenderà su di lei, Colui che è capace di realizzare l’impossibile. Maria ben sapeva che la nube divina nel libro dell’Esodo “copriva con la sua ombra” la Tenda, perciò intuisce che sta diventando Arca Santa, la Dimora di Dio, se accetta di diventare feconda, salvezza per l’umanità.

Quando la giovane fanciulla di Nazareth si dichiara “serva” – come avevano fatto Ruth e Abigail – non intende se stessa una domestica tuttofare ma si colloca sulla scia di tutti coloro che, nella storia di Israele, si sono abbandonati al progetto dell’Altissimo per portare a termine la missione loro affidata.

Anche noi siamo spesso tormentati dall’interrogativo: quale la mia vocazione? Quale la mia missione?
Sono progetti propri oppure richiami dello Spirito a diventare autentici “servi” per donarsi in libertà e intelligenza?
Ognuno e ognuna è speciale, un pezzo… unico e raro agli occhi del Creatore, bisogna allora porsi in ascolto e, come Maria, interrogarsi ma donandosi pienamente, senza ritorni o conteggi.