Is 61,1-2.10-11; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28
Martellante quanto si legge sui giornali, quanto ci viene proposto dai telegiornali che, in tempi di globalizzazione, ci consentono di trovarci in una prima linea immediata, estemporanea, con quanto avviene in ogni parte del globo.
Società liquida la nostra che non ammette certezze ma lascia nella precarietà e nell’interrogativo costante che guarda al futuro con apprensione.
In altre parole: tempi bui, oscuri.
Non si intravvede nessun spiraglio? Nessun piccolo foro lascia passare una lama di luce che possa dare respiro e infondere coraggio?
Arroccati e impermeabili alla Voce certamente non abbiamo scampo.
Eppure la Luce sta venendo e sta, già da ora, squarciando la coltre che impedisce di vedere.
Giovanni non è la Luce, lo afferma nitidamente e con coraggio. Però l’ha conosciuta ed amata, se ha accettato una vita rude e ridotta alle minime esigenze pur di dare risposta a quanto dentro di lui urgeva.
Continua a spendersi, a ripetere senza stancarsi il suo messaggio, pur collocandosi in seconda posizione. Accetta il ruolo, non di comparsa sulla scena, ma di inviato dell’Altissimo che non si sceglie il ruolo primario, più appariscente, più vantaggioso, ma accetta quella che è la sua missione nell’unico percorso di vita che viene concesso agli umani.
In questa accettazione si gioca la nostra identità in terra, indubbiamente da testimoni che sono stati colpiti dalla Luce, dal suo chiarore, dalla Sua Bellezza e non possono sottrarsi, pena perdere se stessi, di palesarlo a tutti.
È un’esigenza profonda, perché chi ha ricevuto il dono di riconoscere nelle tenebre il fascino della Luce, corre ogni rischio, affronta ogni interrogativo. Esattamente come Giovanni Battista che non calcola e si spende.
Non si sente sottovalutato, tenuto in poco conto, al di sotto delle sue possibili prestazioni affermando di non essere né il Cristo, né un profeta. Riconosce il suo limite umano.
Tuttavia, anche quest’ottica interpretativa non è pienamente evangelica, si arresta ad una visione pregna di stereotipi e pregiudizi umani. È la via storta di cui parla Giovanni Battista.
Bisogna muovere un altro passo. Leggere se stessi nel grande mosaico della storia con parametri nutriti dal messaggio evangelico: ogni persona, in ogni qualsiasi luogo del globo terrestre, in qualsiasi condizione di vita, salute e rango sociale, viene colpita dalla Luce e dalla Luce richiamata.
Si schiude, in un qualsiasi microcosmo, anche misero e apparentemente spregevole, una proposta che può renderlo fantastico, l’autentica via diritta che mira senza torcersi all’accoglienza del Salvatore.
Il cammino dell’Avvento quindi si può pensare come via che si staglia diritta, e si snoda di luce in luce, rapida verso la Luce.
Non va confusa con la fantasmagoria delle luminarie che invadono le nostre strade dando loro l’apparenza di un Luna Park e facendo scomparire Colui che attendiamo, la Luce vera.
Non ci stordiamo nelle luci delle feste dell’Inverno o di Babbo Gelo, attendiamo il Figlio di Dio, Luce dalla Luce.