Tutti i Santi

Ap 7,2-4.9-14; 1Gv 3,1-3; Mt 5,1-12

Ogni giorno ha il suo santo. Oggi è il giorno del paradiso. L’Apocalisse con la folla straripante di santi e angeli nella gloria infinita del Regno di Dio e il Vangelo con la strada per arrivarci; i santi l’hanno percorsa e noi la stiamo facendo. È la Via delle Beatitudini. Che cosa rende beati?

La causa delle beatitudini è lo sguardo di Gesù. Ha davanti e vicino a sé i discepoli, più distante e in basso la folla di quelli che lo seguono. “Vedendoli”, Gesù parla come maestro e come profeta e dipinge la figura del beato, l’uomo nuovo che tanto gli somiglia. Le beatitudini – ciascuna e tutte insieme – sono infatti l’immagine di Gesù, la sintesi sua, del suo insegnamento e della sua opera. Maria potrà dire: mi chiameranno beata.

Le beatitudini sono la biografia di Gesù (rivelano il suo volto di Figlio di Dio); manifestano chi è Dio (il Padre, uguale al Figlio); mostrano il volto dell’uomo realizzato (a immagine del Figlio); ci salvano dalla menzogna esistenziale, mostrano la fisionomia della comunità dei credenti (i figli che vivono da fratelli); rivelano la verità della vita e il giudizio di Dio su di essa; chiamano a vivere secondo la nostra autentica identità. Sono il Vangelo del Vangelo. La pagina delle Beatitudini è stata paragonata all’Inno alla gioia. Un inno “composto, suonato, cantato su una collina di Galilea sulla riva del lago. Carta della santità, questo canto di otto strofe. Un solo ritornello: beati! E chi canta? Colui che è la gioia stessa del Padre, la gioia dei poveri” (D. Ange). È Gesù che canta.

Le beatitudini sono divise in due parti. La prima indica i soggetti (poveri, afflitti, miti…); la seconda, la realizzazione della promessa (il possesso del regno, la consolazione, la misericordia…). Ad unire le due parti c’è il perché sono beati i poveri, gli afflitti, i miti: non la loro condizione, ma ciò che ne segue. Il primato è sempre di Dio, della sua grazia e del suo amore. Lui rende beato un povero perché gli dona il Regno; beato un afflitto perché lo consola; beato un mite perché gli fa dono della terra; beato un affamato di giustizia perché lo sazierà di risposta… Solo la prima e l’ultima beatitudine hanno il tempo presente (è); le altre, sono al futuro. Come a dire: il Regno è già qui, ma non ancora tutto qui. Il seme che cambia il mondo, la resurrezione di Gesù, è già donato e piantato nella storia, ma non è abolito il cammino perché la pianta si sviluppi. Certo è – dice il Salmo 126 – che chi semina nel pianto, mieterà con gioia.

Festa difficile, quella di oggi, in un contesto culturale chiuso in un orizzonte solo terreno, sprangato alla trascendenza. Si vive come se Dio non ci fosse, illudendoci di inseguire il piacere, la ricchezza, il potere, il successo. È come essere in un treno dimenticando di viaggiare e, soprattutto, di dove stiamo andando. Sì, perché anche noi siamo attesi in Paradiso.