Ab 1,2-3;2,2-4; 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10
Gli apostoli sono sempre esigenti nelle loro richieste al Signore; questa volta gli chiedono di accrescere la loro fede per diventare subito grandi. La risposta di Gesù sorprende: non pesa la dimensione massiccia della fede, importa che ci sia e che sia fatta nostra. La fede non è solo regalo, è anche guadagno volontario. Riguardo alla fede la domanda coincide con la ricerca di almeno un briciolo di essa.
I servi inutili non sono gli incapaci a fare, ma quelli che non reclamano meriti: tutto è grazia. Da tempo Gesù istruiva i suoi sul vero ordine dei valori quando consigliava di preferire l’ultimo posto, di invitare zoppi e ciechi. Anche le parabole della pecora smarrita, della moneta che non si trova e del figlio scappato da casa dicono che non c’è il merito nostro, ma l’amore infinito del Padre. Per questo il fratello ha diritto al perdono del fratello; il perdono è al cuore della fede ed è per questo che gli apostoli chiedono un supplemento di fede.
La fatica del servo di Dio non si esaurisce nel lavoro dei campi o col gregge; c’è un servizio più stretto e profondo da fare in rapporto con lo stesso padrone per giungere e partecipare alla stessa convivialità che lo ha visto servitore.
L’inutilità del servo – la nostra inutilità! – non è umiliante; al contrario dice l’amore incredibile del Padre che fa di noi i suoi figli prescelti, senza alcun merito, per partecipare alla festa di nozze che è il banchetto eterno, celebrazione e partecipazione del dono di Dio.
Il granello di fede è credere nell’amore di un Dio che mi ama infinitamente e che non viene mai meno; capace di condonare un debito di diecimila talenti che corrispondono a sessanta milioni di giorni lavorativi, oppure a 200.000 anni di lavoro. Un debito eterno come l’amore che lo estingue. Amare concretamente vuol dire servire l’altro, non servirsi dell’altro. Ancora più che servi, siamo schiavi gli uni degli altri nel reciproco amore; l’essere dell’uno appartiene all’altro in piena libertà.