Am 6,1.4-7; 1Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
Gesù parla ancora ai farisei che si sentono più volte chiamati in causa perché “erano attaccati al denaro” e perciò “si beffavano” di lui. In questa pagina sono rappresentati dal ricco e sono descritti come coloro che non ascoltano Mosè e i Profeti e neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi. Il loro è come un adulterio, solo che al posto di una donna c’è il denaro. La fede cristiana non è una teoria economica, ma una visione della realtà e Dio non è lontano, ma presente in mezzo a noi, al punto di realizzare l’evento più forte verso ogni coscienza.
Nella parabola è tutto un contrasto clamoroso tra le condizioni del ricco e del povero che li fanno totalmente separati. È il medesimo conflitto tra il Vangelo e la condizione umana. La separazione tra i poveri e i ricchi è assoluta. Da una parte c’è la fragile e incosciente beatitudine del ricco; dall’altra l’umiliazione silenziosa di Lazzaro. Il giudizio finale, che mostra rovesciate le due condizioni, più che spaventare sul destino di un inferno, è uno scossone alla coscienza dinanzi all’orrore dell’oggi della storia, per fare tutto il possibile, prima che sia troppo tardi. Il giudizio che Dio pronuncia in Cristo è che ci convertiamo, ricucendo ogni separazione, accettando la convocazione a un’unica mensa.
Epulone (un uomo di cui non conosciamo il nome, salvo il riferimento al suo passare da un banchetto – epulum – all’altro) non è cattivo perché è ricco, ma perché non si accorge del povero Lazzaro che mendica la sua vita a frusto a frusto (Dante), che è privo di tutto ma non del nome che ne dice l’identità e che ne farà nel tempo patrono degli ospizî per poveri e dei lazzaretti. Il Lazzaro della parabola richiama anche il Lazzaro di Betania: entrambi segni e richiami alla Resurrezione.
Povertà e ricchezza: non è una questione di valori, ma di relazioni. Nella parabola del figliol prodigo è la relazione col padre; nella parabola dell’amministratore la relazione col padrone; in questo Vangelo è la mancanza di relazione col povero nella sua quotidiana liturgia di mendicante.
La spiegazione è nell’abisso incolmabile fra il ricco e Lazzaro. La vita del ricco è un abisso, non si accorge del povero che muore alla sua porta. L’abisso è nel suo cuore e nelle sue infondate sicurezze. È l’abisso della omissione di chi non valica la disunione per andare incontro al fratello perché è convinto di non poter far nulla per lui. Così convinto da scavarsi un abisso dove neppure Dio riesce a raggiungerlo.