Dt 30,10-14; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
La pagina del Buon Samaritano ha avuto libri interi di commento. Anche questo anno santo della misericordia sembra tratteggiato su di essa, al punto che già nel logo, Gesù è figurato come il buon Samaritano che scende agli inferi per liberare Adamo dalle catene della condanna e caricarselo sulle spalle.
Gesù la racconta per chiarire il grande comandamento della legge.
Da una parte il dottore, che mette alla prova il Maestro, rappresenta la legge scritta, donata da Dio al suo antico popolo; dall’altra Gesù, nella parabola, mette in evidenza l’assoluta novità della sua parola e della sua persona, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio. Perché quel dottore della Legge ha fatto la domanda se poi lui stesso ha trovato tutta la risposta? Forse la spiegazione è nella sua seconda domanda (chi è il mio prossimo?) fatta per giustificarsi, nel senso che non è facile individuare l’altro che bisogna amare.
La risposta che Gesù dà al dottore è diretta: il prossimo è prima di tutto quello che “si fa prossimo” per soccorrere. Poi, in replica, ognuno deve fare altrettanto. L’esperienza della salvezza può essere solo ricevuta. L’uomo ferito sulla strada – ogni uomo? – è già mezzo morto, al punto che né il sacerdote né il levita si fermano a soccorrerlo perché sarebbe inutile, specie su quella strada che precipita da Gerusalemme a Gerico!
Invece… emerge la figura gigantesca di uno straniero, eretico, nemico, disprezzato da ogni ebreo osservante. Proprio in quel samaritano – nella sua compassione – si raccoglie tutta la potenza della misericordia divina.
Invece… è proprio quello straniero eretico l’immagine del Figlio di Dio, la figura del Padre che in Gesù si fa prossimo a noi per salvarci. In eterno la misericordia di Dio avrà il nome di quell’uomo, il buon samaritano. La sua bontà (compassione) fa la differenza, non la provenienza o la razza.
Poco prima, nel Vangelo di Luca, era riferita la missione dei settantadue; ora, al termine della parabola, la missione si estende ad ognuno: “Va’ e anche tu fa’ così”. Quello che abbiamo ricevuto, ora dobbiamo restituire in dono.