Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56
È la domenica che apre la Settimana Santa, di passione e resurrezione, coagulo di tutto il vivere dell’uomo, come all’origine del tutto ci fu un’altra settimana, misurata sui giorni di Dio che fece tutto dal niente. Questa Settimana è misurata sulle mosse di Gesù a Gerusalemme, ombelico del mondo e terra scavata dai grandi monoteismi che scorrono nelle vene dell’umanità. Per presagio e scelta del Papa santo della Polonia, sono trent’anni che questo giorno appartiene ai giovani del mondo incontro a Cristo che entra nelle città e nei paesi a distribuire il pane della pace. Che domenica, dunque, è questa?
Per capire bisogna rifarsi ai segni piccoli, all’asino preso in prestito e cavalcato dal “re della figlia di Sion” (Gerusalemme). La profezia di Zaccaria lo mostra capace di spezzare l’arco di guerra e annunciare la pace alle genti. Il re venturo è povero tra i poveri, i credenti umili della prima Beatitudine. A questo re acclamiamo oggi, chiedendogli di prenderci con sé sulla sua via.
Un re di pace mediante il segno della Croce, che è l’arco di guerra spezzato, vero arcobaleno di Dio, segno di riconciliazione, di perdono, dell’amore più forte della morte. Ogni volta che ci facciamo il segno della Croce dobbiamo ricordarci che il male si vince con il bene.
Questo regno è universale, l’intero universo, la terra tutta. Da mare a mare, fino ai confini ultimi, superando ogni limite e cultura, portando tutto all’unità. Misere capanne, povere campagne, splendide cattedrali, ovunque Egli viene e unisce tra loro i suoi fratelli, insieme in un unico corpo. Cristo si fa pane e si dona noi e così costruisce il suo regno.
“Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore”; è il canto della nostra processione, del nostro pellegrinaggio per la via alta verso il Dio vivente. È di questa salita che si tratta. Lui sale a Gerusalemme per la Pasqua, ma è un cammino che tocca anche a noi, anche se sembra superare le nostre forze.
Papa Benedetto, nella domenica delle Palme di qualche anno fa, ci ricordò che “i Padri hanno detto che l’uomo sta nel punto d’intersezione tra due campi di gravitazione. C’è anzitutto la forza di gravità che tira in basso – verso l’egoismo, verso la menzogna e verso il male; la gravità che ci abbassa e ci allontana dall’altezza di Dio. Dall’altro lato c’è la forza di gravità dell’amore di Dio: l’essere amati da Dio e la risposta del nostro amore ci attirano verso l’alto. L’uomo si trova in mezzo a questa duplice forza di gravità, e tutto dipende dallo sfuggire al campo di gravitazione del male e diventare liberi di lasciarsi totalmente attirare dalla forza di gravità di Dio, che ci rende veri, ci eleva, ci dona la vera libertà”.