At 10,34.37-43; Col 3,1-4; Gv 20,1-9
È il Vangelo di Giovanni, colui che sa di essere l’ultimo testimone oculare della risurrezione. Il più giovane tra gli Apostoli, probabilmente è vissuto molto a lungo, sapendo che tutti gli altri erano scomparsi e allora prepara il passaggio dalla fede di chi ha visto a chi, senza aver visto, crede alla sua parola, aiutando nel passaggio dall’esperienza dei primi alla nostra.
La scoperta del sepolcro vuoto è una conferma importante. A fare la scoperta per prime sono state alcune donne, la cui testimonianza era priva di valore giuridico: indizio già questo di un ricordo effettivo e non di una invenzione. Senza il sepolcro vuoto, i discepoli mai avrebbero potuto credere nella risurrezione di Gesù: un risorto il cui cadavere fosse ancora visibile nella tomba, sarebbe stato assurdo e inimmaginabile. Mai inoltre avrebbero potuto annunciare la risurrezione a Gerusalemme: sarebbero stati coperti di ridicolo. Anche se il sepolcro vuoto da solo non basta a provare la risurrezione, costituisce comunque un segno che il risorto è proprio il crocifisso.
L’amore attrae con la sua bellezza; ma deve superare lo scandalo della sofferenza del mondo. Da sempre nella storia dell’umanità si leva verso il cielo l’interrogativo tremendo, che a volte diventa ribellione e negazione: Perché il male? Perché Dio lo permette? Il credente sa di non essere più solo nella sua sofferenza; sa che una potente forza di liberazione conduce avanti la storia delle persone e dei popoli, anche quando è densa la notte del dolore, dell’odio, della distruzione, dell’angoscia e della morte. La poesia “Mio fiume anche tu” di Giuseppe Ungaretti vuole testimoniare che la vicinanza di Cristo placa il gemito e il grido e trasforma la protesta in fiduciosa preghiera:
“(…) Fa piaga nel Tuo cuore
La somma del dolore
Che va spargendo sulla terra l’uomo;
Il Tuo cuore è la sede appassionata
Dell’amore non vano.
Cristo, pensoso palpito,
Astro incarnato nell’umane tenebre,
Fratello che t’immoli
Perennemente per riedificare
Uamnamente l’uomo,
Santo, Santo che soffri,
Maestro e fratello e Dio che ci sai deboli,
Santo, Santo che soffri
Per liberare dalla morte i morti
E sorreggere noi infelici vivi,
D’un pianto solo mio non piango più,
Ecco, Ti chiamo, Santo,
Santo, Santo che soffri”.