Gen 15,5-12.17-18; Fil 3,17- 4,1; Lc 9,28-36
La trasfigurazione è luce su luce, ma succede appena dopo l’invito del Maestro (“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua!”) ed è un spinta alla sequela. Due i segni: cambia il volto di Gesù e la sua veste diventa lucentissima, compaiono anche Mosè ed Elia, i vertici della Legge e della profezia. Il sonno dei tre discepoli è segno della loro incomprensione, ma resistono al torpore e riescono a vedere la gloria di Gesù. Pietro prova a parlare ma una nube li copre mentre rivela la gloria di Dio. Chiusi gli occhi, restano aperti gli orecchi che odono la voce che indica in Gesù “Il Figlio mio!”.
Alla fine rimane lui, “Gesù solo”. “Gesù è tutto ciò che è dato ai discepoli e alla Chiesa di ogni tempo: è ciò che deve bastare nel cammino. È lui l’unica voce da ascoltare, l’unico da seguire” (Papa Benedetto).
La Chiesa d’Oriente considera la festa di oggi icona di tutta la liturgia, contemplazione della gloria del Signore e del suo splendore, segno della resurrezione. Anche la Chiesa, nella liturgia può essere vista come veste del corpo di Gesù, partecipe della sua gloria.
Colpisce la solitudine di Gesù, quasi anticipo dell’orto degli Ulivi. La predilezione del Padre non risparmia dal sacrificio. Gesù prega. E il Padre dà una sola istruzione: ascoltatelo. La parola di Gesù nasce nel silenzio profondo del dialogo dentro la Trinità. È in Dio, nel suo amore, che trova conciliazione quello che appare contrasto inconciliabile: Servo sofferente e Figlio prediletto, luce e ombra, silenzio e parola, gioia e timore, croce e resurrezione.
Le altre presenze – di Mosè ed Elia – mostrano come la preghiera è ingresso nella storia della salvezza, tappa dell’esodo e viaggio verso la Pasqua. Vale anche per noi questa illuminazione.