Is 6,1-2.3-8; 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
Dio chiama. Oggi ne abbiamo la visione maestosa e l’eco pacato e quasi ordinario nell’episodio del Vangelo. Isaia profeta è davanti al Signore tre volte Santo: si spiega il suo batticuore e la coscienza della propria bassezza. Solo dopo che un serafino gli ha purificato le labbra con un carbone ardente, Isaia è pronto a rispondere all’appello: “Eccomi Signore, manda me!”.
Gli stessi sentimenti si percepiscono nella vicenda della fantastica pesca dopo una notte inconcludente, quando Pietro e gli altri decidono di fidarsi della sua parola. Davanti allo straordinario miracolo, Pietro non si getta al collo ma alle ginocchia di Gesù, consapevole di essere indegno perché peccatore. Gesù lo rassicura e lo chiama a seguirlo. Pietro lascia tutto e lo segue.
Anche Paolo ricorda bene di essere stato un persecutore di Gesù nei suoi discepoli e, dunque, non meritevole di essere chiamato apostolo, ma assegna a Dio ogni meraviglia, compresa la chiamata a predicare il Vangelo.
Ogni visita di Dio ci fa riconoscere poveri, inadeguati, limitati e, soprattutto, peccatori. È la sua misericordia e il suo perdono a trasformarci in apostoli della buona notizia che cambia una vita. Commentando la Parola di oggi, Papa Benedetto disse: “L’umiltà testimoniata da Isaia, da Pietro e da Paolo invita quanti hanno ricevuto il dono della vocazione divina a non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare, con gioia, a lasciare tutto per Lui”.
La vicenda di uno, Pietro, coinvolge radicalmente anche gli altri. “Pescatore di uomini” non è solo incarico degli apostoli, ma di ogni esistenza totalmente rinnovata nel rapporto con il Figlio di Dio. È formidabile il contrasto tra il nulla di prima e l’eccedenza della pesca fatta sulla parola di Gesù. Ogni incontro col Signore rivela il nostro niente e provoca la crisi che apre alla salvezza e alla vita nuova.