Ger 1,4-5.17-19; 1Cor 12,31-13,13; Lc 4,21-30
In appena sei versi (dal 22 al 28) si passa dal “Tutti gli rendevano testimonianza” al “Tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno”; sono le parole di Gesù che all’inizio provocano meraviglia, ma poi producono risentimento e – persino – proposito omicida. A provocare i sentimenti degli ascoltatori sono i paragoni e i richiami di Gesù alle vicende dei profeti Elia ed Eliseo che mostrano come i segni salvifici accadono anche fuori del popolo e della patria dell’Alleanza. A ingelosire e a provocare la crisi è la misura della grazia del Signore, che è senza confini. Il dono di Dio è libero, non è un possesso esclusivo e – per tutti – resta sempre un dono.
È un crescendo di ostilità da parte dei concittadini di Gesù. Prima hanno problemi sull’identità del “figlio di Giuseppe”; quindi sulla pretesa che esibisca presso di loro i segni compiuti a Cafarnao. Infine gli impediscono di guarirli semplicemente perché ritengono di non aver bisogno del medico, come chi invita il medico a curare se stesso quando ci valuta malati. Il soccorso miracoloso alla vedova di Sarepta e al lebbroso Naaman, oltre ad essere segni che Dio può salvare fuori da ogni confine, mostrano come la sua compassione si apra all’estrema povertà di quella donna col figlio e al tormento della lebbra di Naaman il Siro non a dispetto della predilezione d’Israele, ma proprio a dimostrazione che è la sua acqua efficace rispetto a quella della patria di Naaman. La vedova e Naaman sono due segni che fanno vedere tutto l’amore di Dio per ognuno di noi.
La domanda: “Non è il figlio di Giuseppe?” non è necessariamente ostile. Il problema è che i suoi lo vorrebbero tutto per loro, vogliono il loro “dio” solo per loro. Il Signore ricorda i due episodi che hanno come destinatari della misericordia di Dio due stranieri di altre fedi, non per convertirli, ma per soccorrerli a fronte di mali comuni a tutta umanità: la fame e la malattia. Gli abitanti di Nazaret perciò devono accettare la missione universale del loro concittadino e non cedere all’istinto di chi sente privilegiato e vorrebbe trasformare la “grazia” in possesso geloso.
Papa Benedetto, commentando questo fatto, aveva detto che “è comprensibile, perché la familiarità sul piano umano rende difficile andare al di là e aprirsi alla dimensione divina”. Gesù stesso sembra farsene una ragione, ma in realtà si meraviglia della loro incredulità; in un certo senso, egli stesso si scandalizza: “La chiusura del cuore della sua gente rimane per Lui oscura, impenetrabile: come è possibile che non riconoscano la luce della Verità? Perché non si aprono alla bontà di Dio, che ha voluto condividere la nostra umanità? In effetti, l’uomo Gesù di Nazareth è la trasparenza di Dio, in Lui Dio abita pienamente. E mentre noi cerchiamo sempre altri segni, altri prodigi, non ci accorgiamo che il vero Segno è Lui, Dio fatto carne, è Lui il più grande miracolo dell’universo: tutto l’amore di Dio racchiuso in un cuore umano, in un volto d’uomo”.