Dn 7,13-14; Ap 1,5-8; Gv 18,33-37
Lo scontro tra Gesù e Pilato non è un dialogo filosofico sulla verità; è un interrogatorio tragico dentro un vero processo. L’intero Vangelo di Giovanni, dall’inizio alla fine, è segnato dall’idea dello scontro tra la luce e le tenebre, tra la fede e l’incredulità, tra Gesù e il mondo. Ora siamo all’epilogo, all’ultima udienza. Dietro Pilato, che rappresenta l’impero romano e i giudei, c’è il mondo che si oppone al Figlio di Dio e che sembra vincere: Gesù è catturato, condannato, caricato della croce, crocifisso.
La verità è rovesciata; è il mondo ad essere giudicato e condannato. Il Figlio ci assicura: “Abbiate fiducia: io ho vinto il mondo!”. Gesù muore in croce e squarcia le tenebre. L’agnello viene immolato, ma è lui – la vittima – a vincere nella resurrezione. L’agnello è immolato ma è ritto in piedi, vincitore. Anche i fatti sono a rovescio. Più che consegnato dai Giudei nelle mani di Pilato è Gesù che si consegna alla volontà del Padre; è lo stesso Padre a consegnare il Figlio per la salvezza di tutti.
Si rovescia anche il significato del regno: “non è” del mondo né nasce da esso. Tutta la storia del cristianesimo è segnata da questa incompatibilità. Gesù non rinuncia al titolo di Re, ma lo capovolge nell’assoluta novità di essere testimonianza alla verità.
Il mistero assoluto – “Cos’è la verità?” – è risolto. L’inconoscibile è svelato; la verità è l’amore del Padre, rivelato nel Figlio. La verità è Dio-Amore disteso tutto sulla croce. Il cristianesimo è incompatibile con il potere del mondo perché il Crocifisso è la sconvolgente testimonianza della potenza dell’amore del Padre.
La domanda di Pilato resta come l’interrogativo più profondo che tiene sospeso ogni uomo finché non alza lo sguardo a colui che hanno trafitto e comprende che la verità è la pasqua di Gesù. D’ora in poi i cristiani testimoniano che tutta l’umanità è figlia di Dio.