Is 5,1-7; Fil 4,6-9; Mt 21,33-43
Un uomo, dice la parabola, ma si tratta di Dio. E fa tutto perché la vigna produca il meglio, fidandosi degli operai come di persone di famiglia. I vignaioli, invece, si mostrano sfrontati e malvagi, al punto di pensare di uccidere il figlio per sostituirlo nell’eredità. Contro la speranza del padre i vignaioli compiono il gesto definitivo pagato prima dalle violenze contro i servi. Siamo alle radici del mistero di Dio e dell’uomo. Il peccato è, alla radice, la scelta dell’uomo che al dono di Dio preferisce il tentativo di rubarlo.
Dopo l’uccisione del primo servo nessun padrone ne avrebbe mandati altri, invece quest’uomo ha una pazienza infinita e alla fine addirittura manda suo figlio. È un padrone che non è di questa terra. È Dio, il Padre.
S’insiste molto sui frutti della vigna che il padrone – Dio – non riesce a raccogliere. Al contrario, la vigna a causa della malvagità di quegli operai, sembra produrre solo violenza e sangue innocente. Al punto che gli interlocutori di Gesù reagiscono invocando una maggiore violenza e vendetta da parte del padrone. Gesù, invece, non minaccia lo sterminio degli omicidi, ma solo la loro sostituzione nella destinazione del Regno di Dio.
Resta l’uccisione del figlio. Che non è solo parte di una parabola, ma storia vera, storia di Pasqua, di morte e resurrezione, storia delle meraviglie che Dio compie attraverso una storia tragica. Quella di Dio è davvero un’altra parabola rispetto alle nostre storie.
Gesù è la pietra scartata, l’erede cacciato dalla vigna e ucciso fuori da Gerusalemme. Una nuova comunità di discepoli-operai nascerà dalla sua Pasqua.
Angelo Sceppacerca