Domenica 3 agosto

Is 55,1-3; Rm 8,35.37-39; Mt 14,13-21

È come una liturgia; c’è la memoria della manna nel deserto e il legame con le parole di Gesù che istituisce l’Eucaristia. Anche il miracolo è del tutto gratuito ed eccede la stretta necessità. Alla notizia della morte di Giovanni Gesù decide di ritirarsi nel deserto, dove spontaneamente si convoca, a piedi, una grande folla di poveri. Al violento banchetto di Erode fa seguito una mensa che sfama i poveri; là si uccideva, qui si sostiene la vita.

Le parole dei discepoli dicono che la folla potrebbe andare a comperare il cibo, ma Gesù insiste che siano loro a dare da mangiare. Questa mensa è gratuita e le parole sono quelle dell’ultima Cena: prese, pronunziò la benedizione, spezzò, diede. Gesù fa il miracolo non moltiplicando, ma "spezzando", condividendo. Il raccogliersi della folla provoca la compassione di Gesù e la sua azione risana un popolo di malati. È molto più che un semplice sfamare; è una festa di perdono, di misericordia e di accoglienza. È una Messa.

Liturgici sono anche i gesti: il comando di sedersi, la benedizione e la frazione dei pani e dei pesci con lo sguardo al cielo, la distribuzione del cibo tramite i discepoli. Restano perfino dodici ceste – il numero degli apostoli e delle tribù del popolo di Dio – di pezzi avanzati. Dopo la sproporzione tra la molta gente e il poco cibo, viene quella tra la folla e l’avanzo dei pezzi: dodici ceste piene, una per ogni apostolo che porterà il pane del Vangelo fino ai confini della terra.

Colpisce la compassione del cuore di Gesù. Allontanatosi addolorato per la morte di Giovanni, torna col cuore gonfio di tenerezza. Dalla compassione divina per il suo popolo sgorga l’attività terapeutica di Gesù. Non sono insegnamenti. Semplicemente si piega sui poveri.

Angelo Sceppacerca