Domenica 16 febbraio

Sir 15,16-21; 1Cor 2,6-10; Mt 5,17-37

Gesù realizza quello che le Scritture dicevano di lui. Lo fa con la sua vita e la sua morte. Non svuota la Legge, ma la riempie fino alla sua più alta espressione. Gesù non è contro Mosè; anzi è lui il vero legislatore per gli uomini di tutti i tempi; Mosè era solo l’avanguardia.

Alla venuta del Messia, la Legge precedente mostra tutti i segni della sua insufficienza. Solo Gesù va fino in fondo con l’amore che non trascura neanche un dettaglio. Anche se cadranno cielo e terra, non cadrà la particella più piccola della Legge, finché non sia attuata nel Vangelo dell’amore.

La giustizia migliore di tutte, che supera di gran lunga quella degli scribi e dei farisei, è quella che Gesù ha concentrato in un principio dominante: l’amore di Dio e del prossimo. Da qui segue tutta la Legge e tutti i Profeti.

Gesù non propone un’altra legge, non contraddice quanto è stato già detto, ma lo spiega, lo approfondisce: l’uccisione fisica viene dall’ira, dal disprezzo, dall’uccisione della reciproca fraternità. L’ira e il disprezzo sono l’uccisione dell’altro nel proprio cuore. È interiore, ma prepara quella esteriore. Anche le guerre iniziano con campagne pubblicitarie che ingiuriano il nemico al punto da considerarlo meritevole di morte.

L’amore del prossimo è superiore anche alla preghiera. Senza pace con il fratello non c’è incontro con il Padre. E questo riguarda non solo chi ha offeso, ma anche chi è stato offeso: pure lui deve riconciliarsi col fratello. Non è questione di ragione o di torto; quando c’è qualcosa che divide due fratelli; ogni ostacolo deve essere abbassato per comunicare con Dio.

Il Signore si è fatto prossimo a noi più di quanto noi lo siamo a noi stessi. Ecco perché tutto il "parlare" della nostra vita è chiamato a essere semplicemente se stesso: perché noi e Lui siamo del tutto uniti. Non siamo noi a parlare, ma è Lui che parla in noi.

Angelo Sceppacerca