Is 49,14-15; 1Cor 4,1-5; Mt 6,24-34
In dieci versi ben sei volte c’è il verbo preoccuparsi. È la nostra condizione abituale, quotidiana. Nel senso che è l’abito che indossiamo sempre; nel senso che lo siamo tutti i giorni. E il Vangelo – Gesù – sta a dirci che non dobbiamo esserlo, non solo delle cose in elenco, ma di tutto. Anzi, la cosa più importante è proprio questa: non affannarsi, ma sentire e avere una relazione positiva con ogni cosa. È il dono della più grande libertà. Gesù porta esempi incantevoli traendoli dalla natura e ci spiega che sono l’orizzonte della relazione d’amore che Dio ha stabilito con l’umanità, con ciascuno di noi.
Non si tratta d’imitare gli uccelli che non seminano, non lavorano e non riempiono i granai. Bisogna capire che la preoccupazione nasce dall’amaro di un’esperienza ed è essa stessa una forma di solitudine. La relazione d’amore solleva dalla preoccupazione. E la fatica quotidiana è vista e vissuta come riposta all’amore di Dio e non come pena angosciante di chi sente solo sulle sue spalle pesi insostenibili. Dagli uccelli e dai gigli – nel linguaggio della natura – impariamo ad aver fiducia dell’amore di Dio.
C’è di più. Per quanto incantevoli, i gigli restano pur sempre erba, che oggi c’è e domani si brucia. Nell’ordine delle cose, noi veniamo molto prima di essi e degli uccelli, perché siamo figli. C’è davvero da preoccuparsi, invece, quando si perde questa consapevolezza e si vive come se Dio non ci fosse. Se lui non c’è, noi siamo poca cosa, orfani di senso e di speranza. L’ansia per il futuro ci divora; vivere, con senso di fede e di sapienza, il presente di ogni giorno porta pace al cuore. A sollevarci dal peso della pena quotidiana, la preghiera suggerita è sempre questa: "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" o – come ha recentemente suggerito Papa Francesco ai fidanzati e agli sposi – "Dacci oggi il nostro amore quotidiano".
Alla vigilia della Quaresima – con i grandi temi della preghiera, della misericordia e del digiuno – non può esserci immagine più serena degli uccelli del cielo e dei gigli del campo. Piccoli uccellini e umili fiori di campo, entrambi segni della povertà affidata all’amore di Dio e per questo trasformati in segni di bellezza e sapienza.
Angelo Sceppacerca