Gb 19,1.23-27a; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40
Nel giorno della loro commemorazione, ricordiamo a noi stessi i nostri defunti con affetto e gratitudine. E ricordiamo a Dio tutti i defunti con la preghiera di suffragio. Ma è anche l’occasione per pensare alla nostra morte. Non sappiamo quando, ma è certo che verrà. Come dice sant’Agostino: "Quando un uomo nasce si possono fare ipotesi diverse: forse sarà bello, forse sarà brutto; forse sarà ricco, forse sarà povero; forse vivrà a lungo, forse non vivrà a lungo. Ma non si dice mai per nessuno: forse morirà, forse non morirà. Questa è l’unica cosa assolutamente certa".
Siamo certi di morire. La paura della morte è un tarlo che rode dentro in contrasto con l’istinto di conservazione, il più potente tra tutti. È l’insopprimibile desiderio di vita. Oggi la morte degli uomini che ci sono estranei viene banalizzata, fatta oggetto di curiosità o di crudo spettacolo. Invece è tabù parlare della propria morte e di quella dei propri cari. I bambini sono tenuti lontani dal nonno che muore. Si muore nella solitudine e non circondati dall’affetto e dalla preghiera dei familiari. Spesso i riti funebri vengono ridotti al minimo. Al più ci si preoccupa della sofferenza che di solito precede la morte, ma non della condizione in cui si va incontro con la morte.
Anche se non la pensiamo, la morte si avvicina inesorabile: ogni giorno è più vicina. Ed è stoltezza non pensarci, come ha scritto Pascal mettendo a nudo l’assurdità dell’indifferenza di chi vive senza porsi domande e cercare risposte.
"Conosco una cosa sola, che presto devo morire. Ma ciò che ignoro di più è proprio questa morte che non posso evitare… So soltanto che, uscendo da questo mondo, cado per sempre o nel nulla o nelle mani di Dio… Non ci sono che tre categorie di persone: quelle che servono Dio, perché l’hanno trovato; quelle che si impegnano a cercarlo, perché non l’hanno trovato; quelle che vivono senza averlo trovato e senza cercarlo. Le prime sono ragionevoli e felici; le seconde sono infelici e ragionevoli; le ultime sono stolte e infelici… Uomini indifferenti… quando invece nei riguardi di tutte le altre cose temono anche le più insignificanti, le prevedono, le sentono; e lo stesso uomo che passa tanti giorni e tante notti nella rabbia e nella disperazione per la perdita di una carica o per qualche supposta offesa al suo onore, proprio lui sa che alla morte perderà tutto".
Pensare alla propria morte è indispensabile per morire bene e prima ancora per vivere bene. Il cristiano non ha paura di guardare in faccia la morte. Le va incontro con fiducia consegnandosi nelle mani di Dio infinitamente misericordioso. Gesù illumina il nostro destino: "Questa è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna. E io lo risusciterò nell’ultimo giorno".
Angelo Sceppacerca