Domenica delle Palme

Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Lc 22,14-23,56

La passione del Signore

Nella domenica delle Palme si ascolta per intero il racconto della passione del Signore. Tutta la passione. Mi limito a poche riflessioni.

Il viaggio di Gesù verso Gerusalemme sta per giungere al termine. Dopo Gerico, le ultime due tappe sono Betfage e Betania. Qui si svolge un’azione dal significato simbolico, profetico. Gesù manda due discepoli a prendere un puledro di asina, per entrare in Gerusalemme a dorso di esso. Il simbolo è quello della regalità mite e pacifica di Gesù; ma una regalità contestata e rifiutata.

Cosa c’è d’importante in questo montare un puledro d’asina? C’è l’antica profezia: "Dite alla figlia di Sion: ecco il tuo re viene a te, mite, seduto su un’asina". Nei tempi antichi d’Israele era cavalcatura dei principi, dei re. Il cavallo invece rappresenta l’animale per la guerra, espressione di forza e non di mitezza. Il re che entra in Gerusalemme non la conquista con le armi, ma col servizio e il dono di sé; la sua umiltà conquisterà i popoli.

Un re che non ha neppure un asino; lo deve chiedere in prestito. È un re che si fa povero per arricchire noi. Lui si fa mendicante al punto che i discepoli dicono al padrone del puledro: "Il Signore ne ha bisogno!". È davvero il servo umiliato che si prepara a soffrire. La sua salita sul trono regale della croce è ormai vicina; lì sarà il principe della pace.

La gioia dei discepoli – come quella di Zaccheo che l’aveva da poco preceduta – nasce dall’intuizione del gesto di Gesù e contrasta con la reazione dei farisei che contestano la pretesa regalità, come quelli che prima lo avevano criticato per essere andato a casa di Zaccheo.

Nella notte del Getsemani, Gesù attraversa tutte le notti dell’uomo; attraversa la notte della morte assurda fino all’esperienza dell’abbandono di Dio. Per questo siamo salvi, perché Lui è passato attraverso queste notti. E in queste nostre notti troviamo Lui che è lì per portarvi la luce di Dio.

Colui che per noi è diventato simile a noi diceva a Dio suo Padre: non la mia, ma la tua volontà, volendo Lui che era Dio per natura, compiere anche come uomo la volontà del Padre. Se egli si consegnò liberamente come colpevole alla Passione e alla morte, facendosi responsabile per noi che eravamo veramente meritevoli di soffrire fino alla morte, è chiaro che Egli ci ha amati più di sé stesso. (Massimo il Confessore)

I miei giorni camminano / davanti ai Tuoi / e danno loro un senso.
Essi Ti hanno strappato / alla Tua dimora eterna / facendoTi / il primogenito dei perduti.
Tu ora non sei / che un nostro fratello, / hai sofferto in Te / ogni nostro dolore.
Noi ti sentiamo vicino / nel Tuo lamento / e nel Tuo pianto / sulla fossa di Lazzaro.
Ora la nostra carne non Ti abbandona; / sei un Dio che si consuma / in noi. Un Dio / che muore. (D.M. Turoldo)

Angelo Sceppacerca