2Sam 5,1-3; Col 1,12-20; Lc 23,35-43
Sulla croce sembra finire tutto. Tutto sembra tornare come prima. Anzi, peggio di prima, perché il male sembra aver vinto ancora e le delusioni seguono le illusioni. Non è così. Gesù, morendo per noi, ha vinto e contemplarlo Crocifisso è vederlo Signore e Re, principio della nuova sapienza, amore senza limiti.
I capi, insieme ai soldati, lo deridono e scuotono il capo. Il solo pensiero dell’uomo – la propria salvezza – è sempre concepito a spese dell’altro, mai il contrario. Questa salvezza egoistica è perdizione, solo chi si perde per amore, si salva. A chi ci ha donato l’acqua della vita, abbiamo dato in cambio l’aceto della morte.
Il titulum inciso sulla croce è cosa seria. La signoria di Gesù è quella dell’amore, la sua debolezza è la forza di Dio. Bestemmia è non riconoscere un amore che si mostra, in croce, tutto svelato. Uno dei criminali a fianco del Signore lo intuisce ed entra in paradiso; l’altro è accecato e dispera. Il "buon ladrone" sente la vicinanza di Dio alla sua maledizione e si salva.
Ogni altro miracolo non ci avrebbe convinti del suo amore. L’impotente vicinanza e la solidarietà con la nostra morte tolgono ogni dubbio: Dio è amore e ci ama. È significativo che il ladrone in croce è l’unico che chiama Gesù per nome. Gesù: Dio salva. Muore a braccia aperte perché nessuno potesse sentirsi abbandonato. Gesù è l’Emmanuele, il paradiso di Dio in mezzo a noi.
La grande preghiera di Gesù al Padre per i peccatori: "Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno" dice tutta la misericordia di Dio. Sarà la stessa preghiera di quelli di Cristo, a cominciare dal diacono Stefano, primo martire.
Attorno alla croce ci sono molte persone: malfattori, popolo, capi, soldati… sono Gentili e Giudei. In realtà c’è tutta l’umanità, fin dal primo uomo. Golgota, vuol dire cranio. E lì – si pensa – sia stato sepolto il primo uomo, Adamo, ad aver perso il paradiso.
Angelo Sceppacerca