Is 52,13- 53,12; Eb 4,14-16; 5,7-9; Gv 18,1- 19,42
In questo giorno la Chiesa con la meditazione della Passione del suo Signore e Sposo e con l’adorazione della Croce commemora la sua origine dal fianco di Cristo, che riposa sulla croce e intercede per la salvezza del mondo.
Oggi, per antichissima tradizione, non viene celebrata l’Eucaristia, ma si fa penitenza con l’astinenza, il digiuno e le opere di carità.
Dinanzi alla croce e al racconto della passione restiamo in silenzio e contempliamo il volto di Dio morto per amore. Nel suo volto, c’è anche il nostro dolore e il volto di tanti fratelli, di interi popoli.
Ci aiutino, in questo giorno di riflessione, alcune parole credenti.
La liturgia:
O Dio, che nella passione del Cristo nostro Signore ci hai liberati dalla morte, eredità dell’antico peccato trasmessa a tutto il genere umano, rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la nostra nascita, l’immagine dell’uomo terreno, così per l’azione del tuo Spirito, fa’ che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Per Cristo nostro Signore.
Paolo VI:
Siamo qui, o Signore Gesù.
Siamo venuti come i colpevoli
ritornano sul luogo del delitto,
siamo venuti come colui che Ti ha seguito,
ma Ti ha anche tradito,
tante volte fedeli e tante volte infedeli,
siamo venuti
per riconoscere il misterioso rapporto
fra i nostri peccati e la Tua Passione:
l’opera nostra e l’opera Tua,
siamo venuti per batterci il petto,
per domandarti perdono,
per implorare la Tua misericordia,
siamo venuti
perché sappiamo che Tu puoi,
che Tu vuoi perdonarci,
perché Tu hai espiato per noi.
Tu sei la nostra redenzione
e la nostra speranza.
Chiara Lubich:
Venerdì santo: la morte di Gesù in croce è l’altissima, divina, eroica lezione di Gesù su cosa sia l’amore. Aveva dato tutto: una vita accanto a Maria nei disagi e nell’obbedienza.
Tre anni di predicazione rivelando la Verità, testimoniando il Padre, promettendo lo Spirito Santo e facendo ogni sorte di miracoli d’amore. Tre ore di croce, dalla quale dà il perdono ai carnefici, apre il Paradiso al ladrone, dona a noi la Madre e, finalmente, il suo Corpo e il suo Sangue, dopo averceli dati misticamente nell’Eucaristia.
Gli rimaneva la divinità. La sua unione col Padre, la dolcissima e ineffabile unione con Lui che l’aveva fatto tanto potente in terra, quale figlio di Dio, e tanto regale in croce, questo sentimento della presenza di Dio doveva scendere nel fondo della sua anima, non farsi più sentire, disunirlo in qualche modo da Colui che Egli aveva detto di essere uno con Lui: «Io e il Padre siamo uno» (Gv. 10,30). In Lui l’amore era annientato; la luce, spenta la sapienza, taceva. Si faceva dunque nulla per far noi partecipi al Tutto; verme (Salmo, 22,7) della terra, per far noi figli di Dio. Eravamo staccati dal Padre. Era necessario che il Figlio, nel quale noi tutti ci ritrovavamo, provasse il distacco dal Padre. Doveva sperimentare l’abbandono di Dio, perché noi non fossimo mai più abbandonati.