Is 50,4-7; Fil 2,6-11 ; Mc 14,1-15,47
Prima lettura
È il canto del Servo del Signore, profezia di Gesù e del suo compito mai separato dalla sofferenza e, allo stesso tempo, dalla fede certa nel Padre. È l’eletto al servizio della Parola di Dio e, come fu per il profeta Geremia, riceve in cambio maltrattamenti e angosce. Un’esistenza di dolore che mai, però, ha potuto prosciugare il mare di fiducia nel Signore.
La sua vita è sempre sotto la parola, fin dal mattino. Il Servo di Jahvé è l’inviato, il messaggero, ma prima di tutto egli stesso è discepolo della Voce. Non è lui a disporne; è la Parola a modellarne l’esistenza. E quando arriva il dolore egli non scappa, non fa resistenza, non si ribella come Geremia, ma accetta tutto, si abbandona nelle mani del Padre. E il Padre non tarda a rispondere.
Seconda lettura
È uno dei più antichi inni del Nuovo Testamento e Paolo lo incastona per dare profondità alla vita della comunità fatta d’amore, di umiltà e disinteresse. L’inno della lettera ai Filippesi è il racconto dell’esistenza di Cristo che prima si abbassa annientandosi per poi innalzarsi e risorgere. Gesù è l’opposto del primo uomo. Adamo, creato a immagine di Dio, aveva preteso farsi uguale a Dio tentando di rapinare la condizione divina. Gesù, al contrario, pur avendo la condizione divina, non ne è geloso, ma la vive come dono, nell’abbassamento del suo farsi uomo.
Le immagini sono di grande forza: l’incarnazione è uno svuotamento e la condizione umana assunta è quella del servo al livello più basso: lo schiavo. Gesù ha scelto di vivere nell’umiltà, nella povertà e nel servizio. È venuto per servire e il suo chinarsi è fino alla morte umiliante in croce.
Il Padre riabilita ed esalta il Figlio umiliato: i titoli che erano riferiti al Padre ora sono del Figlio, compreso lo stesso nome di Signore (kyrios) con cui gli ebrei greci traducevano il nome di Jahvé, il nome che è al di sopra di ogni nome. "Gesù è il Signore" è la confessione di fede dei cristiani.
Vangelo
Termina il viaggio verso Gerusalemme. Gesù vi entra a dorso di un puledro d’asina, segno di un potere ottenuto attraverso la mitezza, il servizio e il dono di sé. L’entrata trionfale è anche giudizio contro la città incredula ma alla quale si dà ancora una possibilità perché si converta e riconosca il Messia che sta venendo non come un dominatore, ma come re mite e liberatore.
Angelo Sceppacerca