Domenica 12 febbraio

Lv 13,1-2.45-46; 1Cor 10,31-11,1 ; Mc 1,40-45

La lebbra era "la primogenita della morte" (Gb 18,13). Chi ne era colpito doveva tenersi separato e non poteva avvicinarsi a nessuno. I lebbrosi erano abbandonati a se stessi, destinati ad una lenta morte, infamati come peccatori che meritavano quella condanna. La lebbra era una malattia ributtante, inguaribile e infettiva. Tutti si allontanavano dai lebbrosi, condannati alla morte psicologica e sociale: per loro era finita la famiglia, l’amicizia. Il lebbroso era considerato un maledetto da Dio perché peccatore, vestiva cenci strappati (straccio di umanità) e andava a capo scoperto (l’ultimo emarginato). È con uno di loro che Gesù ha a che fare. C’è di mezzo il bene di un uomo. Il medico venuto a guarire tutti i malati, tocca il lebbroso e lo guarisce. Le nostre leggi possono solo riconoscere il male e condannarlo. Gesù lo guarisce.

Guarire dalla lebbra è separarci dal male. Il lebbroso prega in modo provocatorio, "se vuoi, puoi purificarmi!", ma Gesù – guarendolo subito – conferma che questa è la sua volontà. Lui ha una grande compassione per ciascuno di noi; della folla come del singolo. E si rovescia la situazione: chi toccava un lebbroso diventava impuro; toccandolo Gesù è il lebbroso che si purifica.

Il lebbroso, dopo il miracolo, somiglia a Gesù. Esce ed annunzia: "Si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto". Lui è più che guarito: è purificato, riavvicinato alla comunità e a Dio, non più emarginato, ormai egli stesso testimone e apostolo. Come san Paolo che, presentandosi a Timoteo, si paragona ad un lebbroso sanato.

La preghiera non è tutto, ma tutto dipende dalla preghiera. Per Gesù come per il lebbroso, perché tutto comincia con la Parola e con l’opera di Dio. La forza affidata anche a noi è quella che usciva da Gesù, capace di separare il male dall’uomo. Questo è stato anche il primo miracolo del Signore: liberare un uomo dal Maligno. Lo dobbiamo dire nell’annuncio che la sua Parola cambia tutto, libera e risana.

Il comando di "non dire niente a nessuno" sembra contraddire la spinta all’annuncio. Gesù addirittura ammonisce e allontana da sé l’uomo che ha sanato. Il motivo di questa proibizione è da cercare nel rispetto di Gesù verso l’antica alleanza, di cui lui è il compimento, la pienezza. Mentre tutti pensavano a un Messia come un re politico, l’uomo sanato, annuncia la bella notizia della salvezza che ha sperimentato.

Il lebbroso non era un maledetto da Dio. La Bibbia non lo dice. Gesù lo ha avvicinato, toccato, guarito. Egli stesso per amore si fece come un lebbroso e un maledetto, condannato alla morte infame della crocifissione. Francesco d’Assisi, quello che più gli somiglia, i lebbrosi li ha baciati. Certo, non da subito. All’inizio, "la sola vista dei lebbrosi gli era così insopportabile, che non appena scorgeva a due miglia di distanza i loro ricoveri, si turava il naso con le mani". Solo "nel tempo in cui aveva già cominciato, per grazia e virtù dell’Altissimo, ad avere pensieri santi e salutari, mentre viveva ancora nel mondo, un giorno gli si parò innanzi un lebbroso: fece violenza a se stesso, gli si avvicinò e lo baciò. Da quel momento decise di disprezzarsi sempre più, finché per la misericordia del Redentore ottenne piena vittoria". Se lo fece non fu per auto-costrizione ma perché innamorato di Dio. Infatti lo fece con il cuore: "Poco tempo dopo volle ripetere quel gesto: andò al lebbrosario e, dopo aver dato a ciascun malato del denaro, ne baciò la mano e la bocca".

Angelo Sceppacerca