Dt 6,2-6; Eb 7,23-28; Mc 12,28-34
Nel dialogo tra lo scriba e Gesù c’è l’incontro tra la profezia e il compimento. La domanda del primo è tipica del mondo rabbinico alla ricerca del senso profondo di tutta la Legge. La risposta di Gesù parte dal cuore della fede ebraica ("Ascolta, Israele") per scoprire come il grande comandamento dell’amore di Dio sia legato stretto col secondo, "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Quest’ultimo (l’amore donato) è la risposta esigente al primo (l’amore ricevuto). In parole umane è dire che la vita dell’altro ci è cara come la nostra.
L’insegnamento di Gesù è assolutamente nuovo perché mette sullo stesso piano il primo e il secondo comandamento. Come è possibile che l’amore del prossimo salga a questo primato? Perché in Gesù Dio si è fatto prossimo a noi nella carne. Il prossimo non è più solo il fratello ebreo, ma ogni uomo e ogni donna, in carne e ossa. Da questa fonte sgorgano tutti gli altri come comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo. Persino il culto e i sacrifici nel tempio hanno significato perché segni di amore in risposta all’amore di Dio. L’amore è la vita del credente e la più alta celebrazione di Dio stesso.
Anche il comandamento dell’ascolto (il primo è: "Ascolta, Israele!"), ha a che fare con l’amore. Ascoltiamo, allora, anche la parola di uno che dice di non essere arrivato alla fede, ma che spesso si confronta con le parole sacre della Scrittura, Erri De Luca.
Quando si dice in termini cristiani "ama il prossimo tuo come te stesso" sembra che tu debba amare tutto il mondo perché tutto il mondo è prossimo. È vero il contrario. Il prossimo è il superlativo di vicino, è il vicinissimo. Solo quello che ti sta vicinissimo tu puoi farcela ad amare, solo quello. Il contrario di uno non è zero, è due. Il due è la possibilità dell’incontro. Il due non è il raddoppio della mia personalità, ma il contrario della mia solitudine, l’interruzione, il brusco scioglimento, l’azzeramento della mia solitudine. (…) Ti è imposto però di amare quello che sta proprio vicino a te, quello che inciampa un metro davanti a te. Allora la possibilità di far dilagare l’amore del prossimo, cioè verso il vicinissimo, è la base della tenuta sociale. Se noi riuscissimo semplicemente a conservare affetto per il vicinissimo, per il compagno di banco in difficoltà avremmo risolto il nostro problema di solidarietà mondiale, civile.
Angelo Sceppacerca